A sentirli ruggire e mostrarsi i denti da un palco all’altro si direbbe che tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini l’incompatibilità sia irrecuperabile e il matrimonio impossibile. Nulla di più falso: se i due leader mimano il gioco a spintonarsi come coattelli all’uscita della discoteca è proprio perché sanno di essere costretti a coabitare in un listone comune, salvo improbabili modifiche profonde della legge elettorale. Non sono più loro a decidere: sono i conti in voti sonanti, sempre che i sondaggi esplosivi in arrivo dalla Sicilia siano confermati dai fatti. Il centrodestra unito sopravanzerebbe il Pd alleato con i centristi di addirittura 34 punti: 42% per Musumeci, un miserissimo 8 per Micari, con Fava e i M5S Cancellieri appaiati al 25.

Forse i risultati reali puniranno il Pd un po’ meno severamente ma il segnale resta difficilmente equivocabile: gli elettori di centrodestra, inclusi quelli di Ap, vogliono una lista comune che permetta di tornare ai bei vecchi tempi. Berlusconi può anche avere trovato orripilante e politicamente stupido il trattamento riservato da Salvini al padre fondatore Umberto Bossi, umiliazione secondo il Cavaliere non solo gratuita ma anche controproducente giacché a suo parere nessuna lista “Noi con Salvini” potrà mai competere sul piano del brand con la Lega, così come può sentire sempre più siderale la distanza tra la sua Fi e il Carroccio 2.0: di fronte a un simile responso dell’elettorato non c’è antipatia che tenga. Il massimo a cui si può arrivare è evitare attacchi diretti a Renzi, come ha fatto Berlusconi domenica: lista o non lista per il dopo elezioni i forni restano due.

Le reciproche ostentazioni muscolari di domenica sono solo l’antipasto di quelle che arriveranno quando si tratterà di contendersi la leadership politica della futura lista. Leadership politica, però, non vuol dire candidatura a premier. L’aspetto più surreale del braccio di ferro in corso, destinato a proseguire più o meno fino al giorno delle elezioni, è che in realtà nessuno dei due aspiranti inquilini di palazzo Chigi pensa davvero di avere chance di installarvisi, e neppure ne avrebbero troppa voglia. Salvini già da mesi ha fatto sapere a Berlusconi che a lui la presidenza del consiglio non interessa e anzi in quei panni si sentirebbe in gabbia. Il sovrano di Arcore spera davvero che l’onore gli sia almeno in parte restituito da Strasburgo e ha incassato con piena soddisfazione la genuflessione del Ppe, che lo ha improvvisamente riscoperto come leader di fiducia nella ribollente e poco affidabile penisola. Ma sui tempi non si illude. Si prepara a una campagna elettorale rutilante, nella quale ha già comunicato agli intimi che darà il meglio di sé. Ma l’obiettivo, per lui come per il leghista, è una sorta di supremazia politica, non la corona di capo del governo.

Anche per questo l’ex Cavaliere ha schiumato rabbia vedendo Toti a Pontida invece che sotto il suo palco. Se in gioco c’è l’egemonia politica, una simile scelta significa adoperarsi perché la bilancia penda a favore del rivale. Si sa che nulla manda in bestia Silvio Berlusconi come quelli che da sempre vive come tradimenti personali.

In realtà c’è un altro problemino. Il partito azzurro al momento non ha nessuno da schierare al tavolo delle trattative a muso duro per la composizione della ancora eventuale lista. Solo chi non conosce la politica italiana può pensare che si tratti di un particolare secondario. Ecco perché Ghedini, su mandato del capo, ha contattato Denis Verdini, che meglio di lui da quel punto di vista non se ne trovano. Il fiorentino, per ora, non sembra avere molta voglia di tornare all’ovile però non ha chiuso ogni spiraglio. Si vedrà.

Naturalmente ogni piano di battaglia elettorale finirebbe automaticamente gambe all’aria ove la legge elettorale dovesse cambiare nella struttura. Proprio Verdini propone una versione rimaneggiata del Rosatellum, il sistema diviso in due quote del 50% da eleggere con il maggioritario e con il proporzionale che il Pd potrebbe riproporre nei prossimi giorni. Nella versione Denis la soglia scenderebbe dal 5 all’1%. Che Berlusconi accetti, però, è ben poco credibile.