I requisiti di necessità e urgenza straordinaria per tentare la «riduzione controllata della popolazione carceraria» stavolta ci sono tutti. Lega, M5S e Fratelli d’Italia (con l’eco esterna di un redivivo Antonio Di Pietro) avevano promesso botte da orbi ma le hanno prese, ieri alla Camera, con la bocciatura delle pregiudiziali di costituzionalità presentate dai tre partiti contro il decreto legge governativo del 23 dicembre scorso che, in iter di conversione, è attualmente in Commissione Giustizia a Montecitorio. Se non bastava la condanna che la Corte europea dei diritti umani ha inflitto all’Italia a causa del sovraffollamento penitenziario, se il messaggio inviato alle Camere dal capo dello Stato era caduto nel vuoto, come d’altra parte i suoi numerosi moniti e appelli precedenti, se la battaglia non violenta di Marco Pannella non aveva mai trovato proseliti tra i partiti più giustizialisti dell’arco parlamentare e la Marcia di Natale dei Radicali era già finita nel dimenticatoio il giorno della Befana, almeno con 340 voti contrari e 162 favorevoli la Camera ha sancito che con il decreto legge erroneamente chiamato «svuota carceri» si deve andare avanti. Con buona pace di chi vorrebbe farlo passare per un «indulto mascherato». Ad esprimersi sul decreto-legge sarà poi a breve anche il Csm (la Sesta commissione), per iniziativa autonoma non richiesta dal ministero di Giustizia.

Intanto l’Aula ieri ha continuato l’esame del Progetto di legge presentato da Pd e Sel che contiene modifiche al codice di procedura penale per ridurre il ricorso automatico alla custodia cautelare in carcere. Questa mattina molto probabilmente il testo emendato sarà licenziato da Montecitorio e passerà poi al Senato. «E lì si fermerà», prevede polemicamente il deputato di Sel, Daniele Farina. «C’è un tema che comincia ad essere imbarazzante e che dovrebbe preoccupare – spiega l’ex vicepresidente della commissione Giustizia – Dalla Camera sono partiti diversi bastimenti, messa alla prova, omofobia, reato di tortura, diffamazione a mezzo stampa e adesso “carcerazione preventiva”. Buone o cattive che siano, al Senato tutto si è bloccato». Anche il ddl presentato da Luigi Manconi per la liberalizzazione della marijuana farà, secondo Farina, la stessa fine. «Per fortuna, dopo tanto tempo, si torna in piazza l’8 febbraio prossimo – aggiunge l’esponente del milanese Leoncavallo lanciando un appello alla partecipazione – per abolire la criminogena legge Fini-Giovanardi sulle droghe». Necessità che inizia a fare breccia perfino nel ventre della Lega.

E infatti anche il decreto-legge pre natalizio voluto dalla Guardasigilli Annamaria Cancellieri contiene delle blande modifiche alle norme sugli stupefacenti per incentivare il ricorso alle misure alternative per i tossicodipendenti. E «i primi effetti sono positivi – ha testimoniato il capo del Dap, Giovanni Tamburino, audito dai deputati della commissione Giustizia – monitoriamo settimanalmente i dati e abbiamo riscontrato un decremento di circa 200 detenuti a settimana». Tamburino si è detto favorevole alle misure sulla liberazione anticipata speciale prevista dal decreto carceri, che comunque vanno applicate «caso per caso e non per categorie di reati, anche se c’è un’applicazione ampia che può interessare l’80% dei detenuti». I numeri, ha specificato il capo dell’amministrazione penitenziaria, «vanno riferiti ai condannati con pena residua fino a sei mesi, che sono quasi 5 mila. Ma non tutti avranno questo beneficio nella misura massima. Ma se ci fosse un’applicazione anche al 50% avremmo un effetto di una certa consistenza sui 62.400 detenuti attuali e la popolazione carceraria scenderebbe sotto i 60 mila detenuti. Ulteriori benefici verrebbero con la consegna di altri 4.500 posti carcere entro il maggio prossimo».

Della necessità di correttivi al decreto, però, sono convinti l’associazione Antigone, Fuoriluogo e l’Unione delle camere penali che questa mattina, insieme ad esponenti politici di Sel e del Pd (il renziano Ivan Scalfarotto, per esempio) e ai Garanti dei detenuti territoriali, terranno a Montecitorio una conferenza stampa per presentare alcuni emendamenti finalizzati a «migliorare il testo».