Alle 13,21 vola anche un «Vaffa» all’indirizzo del presidente del Senato Pietro Grasso, solo che questa volta il tradizionale insulto grillino non arriva dai banchi del Movimento 5 stelle bensì da un senatore leghista, Raffaele Volpi, che per questo si becca una sospensione – seppure temporanea – dal destinatario delle sue attenzioni. Nel frattempo parte la carica del Carroccio ai banchi del governo, con il capogruppo Gianmarco Centinaio letteralmente incollato agli scranni più alti tanto che ci vogliono ben sette-commessi-sette per riuscire a schiodarlo. E mentre le camice verdi scatenano la bagarre all’interno dell’aula fuori, per strada, le camice nere di Casapound e Forza Nuova si scontrano con la polizia: braccia tese e cartelli truculenti da una parte, manganelli e idranti dall’altra (62 i militanti di Forza nuova denunciati).

Che l’avvio della discussione sullo Ius soli temperato non sarebbe stata una passeggiata si sapeva. Così come si sapeva che il Carroccio avrebbe dato spettacolo sia con le solite urla che con una valanga di emendamenti al testo: 48.408 proposte di modifica destinate molto probabilmente a essere «cangurate», e quindi cancellate, nel giro di qualche giorno. La giornata però finisce anche con il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli costretta a ricorrere alle cure dell’infermeria dopo una brutta caduta («spinta dai leghisti», accusa il Pd, ma il Carroccio nega) e lo stesso Centinaio che a sua volta deve far ricorso al ghiaccio fornito dalla bouvette per tamponare almeno un po’ il dolore a una mano.

Se non fosse per l’ennesimo insulto al parlamento e perché in ballo ci sono le vite di un milione di ragazzi figli di immigrati, non varrebbe quasi la pena di parlare di quanto accaduto ieri, tanto le sceneggiate razziste dentro e fuori il Senato si assomigliano tutte. Ad accendere il cerino questa volta ci pensa il M5S, altro gruppo che non digerisce la riforma specie dopo l’ordine di scuderia impartito due giorni fa da Grillo. I senatori pentastellati chiedono di votare prima le pregiudiziali di costituzionalità sul decreto sui vaccini e poi, ma solo poi, lo Ius soli. È un modo per prendere tempo, magari anche facendo mancare il numero legale riuscendo così a impedire che la riforma venga incardinata in aula.

A questo punto però, interviene la senatrice Loredana De Petris. La capogruppo di Sinistra italiana parte al contrattacco e chiede di mettere ai voti l’inversione dell’ordine del giorno: prima l’avvio della discussione sulla cittadinanza e poi i vaccini. Proposta approvata dall’aula con il voto contrario di Lega, centrodestra e M5S (con l’eccezione però della senatrice Paola Taverna che non partecipa alla votazione). L’esito del voto è il gong che dà il via alla bagarre. Insieme alle urla leghiste spuntano cartelli con scritto «No allo Ius soli», «Prima gli italiani», «Stop all’invasione», mentre il presidente Grasso prova senza successo a imporre un po’ di ordine.

Il senatore Salvatore Torrisi, presidente della Commissione Affari costituzionali dove il provvedimento è rimasta ferma per quasi due anni, per un po’ ci prova pure a illustrare la legge ma poi – sommerso dalle urla – ci rinuncia e allega il testo scritto al disegno di legge. E’ a questo punto più o meno che, viste ignorate tutte le sue proteste, il leghista Volpi fa partire il suo «Vaffa» contro Grasso. Che reagisce espellendolo dall’aula. Ma a questo punto a insorgere è il vicepresidente del Senato Roberto Calderoli, che spiega a Grasso come il regolamento preveda che in caso di espulsione i lavori dell’aula vengano interrotti. Ora, a Calderoli si può dire tutto tranne che non conosca a perfezione il regolamento, quindi Grasso ci ripensa e, a sorpresa, decide di sospendere la sospensione. Cosa che fa sbottare Calderoli: «Un precedente così manco l’arbitro Moreno», dice il leghista.

Tra urla e spintoni alla fine però la riforma della cittadinanza viene incardinata, riuscendo così a mettere un primo importante paletto al suo iter. Difficile però che si possa arrivare a un voto prima dei ballottaggi, mentre appare ormai scontato che il governo blinderà la legge con il voto di fiducia, forte anche della tenuta della maggioranza. Riuscendo così a mettere finalmente in salvo una riforma attesa da anni.