Il governo gialloverde fa «una danza macabra sull’Italia: litiga su tutto, e non cambia i problemi del Paese», Di Maio e Salvini «sono due opportunisti che fanno finta di litigare e intanto stanno bloccando l’Italia», è «il trionfo dell’ipocrisia» di chi «poi resta incollato alla poltrona del potere». A un mese esatto dal voto delle europee Nicola Zingaretti alza al massimo i decibel contro l’esecutivo.

Ieri a Roma, alla presentazione dei candidati al Tempio di Adriano (ci sono i capolista Pisapia, Calenda, Bonafé, Roberti e Chinnici, ma parlano anche altri, come Pietro Bartolo, il medico dei migranti di Lampedusa) segna la direzione di marcia del Pd: ed è lo scontro totale con il governo. M5s e Lega sono uguali, è il senso continuamente ripetuto, se i 5 stelle vogliono davvero distinguersi dall’alleato stacchino la spina all’esecutivo. «Siamo stanchi di continui litigi per difendere le poltrone. Abbiamo presentato la mozione di sfiducia per vedere se i litigi veri o finti», spiega Zingaretti.

In effetti la mozione di sfiducia al governo, depositata nei giorni scorsi al senato con possibilità di essere approvata pari a zero, è stata preferita – su indicazione dello stesso segretario – alla mozione di censura individuale contro il sottosegretario Armando Siri. Quella che le altre opposizioni avrebbero preferito e che avrebbe anche raccolto i voti dei 5 stelle. Avrebbe creato una spaccatura nella maggioranza, poteva essere approvata.

Ma Zingaretti non vuole concedere nessuno spazio e nessun alibi ai grillini. Innanzitutto per ragioni di competizione elettorale. Secondo i sondaggi il Pd sta tenendo testa al movimento 5 stelle, il vero avversario del 26 maggio, ma con fatica crescente. Perché snello scontro fra i due alleati di governo i dem stentano a ricavarsi uno spazio anche comunicativo.

Ma Zingaretti attacca i 5 stelle anche per un’altra ragione, non meno importante. Tutta interna. In questi giorni, complici le feste pasquali e qualche suggeritore interessato , ha ricominciato a circolare il «retroscena» secondo cui una parte del Pd, dopo il voto, chiederebbe di aprire un confronto con i 5 stelle.

Un’ipotesi inesistente. Che in ogni caso Zingaretti vuole seppellire anche nella versione di fantapolitica. Intanto per rendere chiaro che anche in caso di crisi di governo il suo Pd non sarà «responsabile» cioè non si accollerà le macerie dell’esecutivo gialloverde. «Abbiamo presentato la mozione di sfiducia e così vedremo se i loro litigi sono veri o finti», spiega durante la kermesse, «Dal giorno dopo poi lanceremo una raccolta firme perché se ne vadano a casa, questi show sulla pelle degli italiani devono finire».

C’è anche però una ragione interna al Pd se Zingaretti, che ha vinto il congresso sull’analisi differenziata di Lega e M5s, oggi si è improvvisamente trasformato in quello del «pari sono», che è la posizione di Matteo Renzi sin dall’inizio.

La ragione è proprio Renzi. L’ex segretario si è tenuto alla larga dalla campagna per le europee. Ha assicurato che non farà un suo partito, si è dileguato ed ora è andato in vacanza. Ma nessuno crede alla inattività. In questi giorni al Nazareno viene notata l’ inerzia dei turborenziani sia nella campagna elettorale – dove però sostengono i loro candidati, – sia nelle questioni organizzative del partito. Il dubbio che circola è che l’ex segretario stia ancora aspettando un passo falso di Zingaretti per dare il via alla scissione. Non è un caso che lui invece, Zingaretti, spinge sul tasto dell’unità: «La lista unitaria ce l’hanno chiesta gli italiani, ci hanno detto ’unite le forze più belle’. Non ci credeva nessuno e invece l’abbiamo costruita».

E non è un caso che Carlo Calenda, il liberal che ha le posizioni più simili a Renzi, quello dei mille conflitti, ora venga esibito come una garanzia di unità del partito: «Sono fianco a fianco di Zingaretti», ha detto ieri, «A quelli che mi dicono ‘ma Zingaretti è comunista, io rispondo: ma scherziamo? Guarda la realtà, le cose concrete, qui è in pericolo la democrazia. Io sarò al tuo fianco Nicola fino alla fine»