«Grazie Roma!». Forse alla vigilia delle europee non ci credeva fino in fondo neppure lui, ma alla fine, Mario Borghezio, un passato nel neofascismo, e un presente fatto di messe tradizionaliste, marce contro gli immigrati e sparate razziste, a Bruxelles tornerà grazie a poco meno di 6000 preferenze conquistate nell’Italia centrale, una buona fetta delle quali nella sola capitale. Un risultato, ha spiegato lo stesso europarlamentare, ottenuto grazie al sostegno di «una destra diffusa, che non si riconosce più nelle vecchie sigle», e prima di tutto, dei «ragazzi di Casa Pound» che avevano scelto di sostenerlo apertamente.

Non c’è solo l’abbraccio con Marine Le Pen e il resto dell’estrema destra europea, a definire la nuova linea della Lega di Matteo Salvini. Il progetto, appare più ambizioso, ed è, sono ancora parole di Borghezio, quello di «diventare un partito nazionale», puntando sull’elettorato della “destra sociale”, quell’area che dalla folta diaspora post-missina e di An arriva fino ai “fascisti del terzo millennio”. In sostanza qualcosa di più simile al Front National o meglio ancora al Freiheitlichen Partei Österreichs, l’Fpö che fu di Haider e che mescola la xenofobia a un’estrema valorizzazione del territorio e delle sue tradizioni – “sangue e suolo”, direbbe qualcuno -, che non al partito di ispirazione regionalista delle origini. E che qualcosa, in questo senso, possa già essersi prodotto, sembrano indicarlo gli stessi dati emersi dalle urne.

Se infatti la Lega, riuscita a far dimenticare gli scandali che hanno coinvolto il “cerchio magico” di Umberto Bossi, sta riconquistando terreno al nord, la sua offensiva fuori dai confini della Padania non può essere certo sottovaluta. Domenica, poco meno di 190 mila consensi sono arrivati dal centro, dal sud e dalle isole e se si pensa che l’incremento elettorale leghista rispetto alle politiche dello scorso anno è di circa 300 mila voti, si comprende bene cosa sia accaduto. I voti per il Carroccio si sono moltiplicati per tre, per quattro, addirittura per sei, tra Toscana, Marche, Lazio, Puglia e Sicilia.

E’ vero che Salvini ha attraversato il paese in lungo e in largo, ma soprattutto, le parole d’ordine del suo partito, lasciata da parte la secessione, erano «Basta euro, basta immigrati, prima gli italiani»: un appello rivolto ben oltre il “popolo di Pontida”. Così, mentre “a destra della destra” sono continuate le baruffe chiozzotte tra leader e partitini – Storace contro Alemanno e Meloni, gli ex finiani contro tutti, Casa Pound e Forza Nuova incapaci di raccogliere le firme per presentarsi da soli -, i leghisti hanno chiaramente fatto capire di essere pronti a trasformarsi in una sorta di “casa comune” dell’ultradestra. Più o meno quello che ha spiegato all’indomani del voto Raffaele Volpi, vice presidente dei senatori leghisti: «Questo è solo il primo tassello di un cammino che continueremo a perseguire con le varie realtà politiche culturali e identitarie che hanno scelto di abbracciare il nostro progetto inclusivo».

Del resto, dall’appoggio di Casa Pound, ribadito dopo le elezioni da Gianluca Iannone anche per il futuro, all’adesione al Carroccio dell’associazione Patriae, che riunisce ex di An e di La Destra, tra cui l’ex deputato Alberto Arrighi, fino all’interesse crescente per il partito di Salvini da parte di ambienti già legati a Forza Nuova, è chiaro come l’operazione stia già dando i propri frutti. Resta da capire come il giovane leader leghista farà digerire la cosa al Senatur che solo ieri ha spiegato, rispetto all’accordo con Le Pen, «siamo diversi. La mia famiglia è stata partigiana».