Il Capitano, lo spadone e le carte da bollo. Matteo Salvini, quasi premier a 45 anni, nei prossimi giorni deve decidersi. Rifondare la Lega a sua immagine e somiglianza oppure clonarsi come l’erede naturale del vecchio centrodestra di Berlusconi. Di certo, non sarà comunque come prima. Tanto più che il sottosegretario alla presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti (ieri alla festa del Fatto Quotidiano) mette le mani avanti sulla vicenda dei 49 milioni: «La sentenza del 5 settembre potrebbe avere una conseguenza definitiva: la chiusura del partito, senza che quel processo sia finito. Se tutti i futuri proventi che arrivano alla Lega vengono sequestrati dalla magistratura, è evidente che il 6 siamo finiti…».

PER ORA, SOPRAVVIVE una doppia Lega. La «storica» e quella di Salvini. Entrambe finanziabili con il 2 x 1000, come certifica il sito ufficiale leganord.org dove campeggiano il blu, i ritratti del leader e gli slogan elettorali. Anche il tesseramento 2018 è stato aggiustato: alla tradizionale adesione alla «Lega Nord per l’indipendenza della Padania» viene aggiunto il bollino blu di «Salvini premier». Addirittura la Gazzetta Ufficiale numero 291 del 14 dicembre 2017 ha pubblicato lo statuto del «nuovo» partito, anche se non risulta decaduto quello approvato il 15 ottobre 2015 dal consiglio federale. E gli stessi gruppi istituzionali (dall’Europarlamento alle Regioni ai municipi) continuano a viaggiare sul doppio binario. In linea di principio, servirebbe una lunga, delicata e rischiosa stagione congressuale per poter archiviare definitivamente la Lega di Bossi e varare a pieno regime il partito di Salvini.

Il Capitano fa sempre il pesce in barile, come nel mini tour in Veneto fra la firma istituzionale sulla Pedemontana e il bagno di folla (con coda davanti alla scorta per il selfie d’ordinanza) alla festa di Conselve nel Padovano.

PROPRIO NELLA TERRA che varò nel 1979 al congresso di Recoaro con Achille Tramarin la Liga veneta si moltiplicano segnali di insofferenza nordista. Non c’è solo il sussidiario Flavio Tosi, espulso il 10 marzo 2015 per aver criticato la deriva lepenista di Salvini. A Verona, feudo del ministro Lorenzo Fontana, la Lega si è spaccata in due nonostante i trionfi elettorali. A Ponte di Piave, 8.342 abitanti nella Marca del governatore Luca Zaia, è appena saltata la giunta di Paola Roma: una «porcata» (così i vertici leghisti veneti) del vice sindaco e di altri due consiglieri di maggioranza, a otto mesi dal naturale traguardo amministrativo.

Uno dei dimissionari è Stefano Favaro, militante leghista da oltre un decennio, che di conseguenza verrà giudicato a Milano. Fibrillazioni più o meno padane si segnalano nell’Alta padovana, nel Vicentino e in Polesine.

TUTT’ALTRO CHE INDENNE la Lombardia del «barbaro sognante» Bobo Maroni. Sotto traccia, il dissenso è incardinato nell’atto di nascita della Lega Autonomista Lombarda, depositato da Umberto Bossi e signora con altri cinque fedelissimi il 12 aprile 1984 nello studio del notaio Franca Bellorini, a Varese. «Il simbolo è costituito da un cerchio racchiudente la regione Lombardia con all’interno la figura di Alberto da Giussano come rappresentato nel monumento di Legnano», prima che la mitologia del Po e il pratone di Pontida alimentassero il secessionismo con il Sole delle alpi, la Padania e le camice verdi.

NELL’ARCO DEGLI ULTIMI 30 anni, in quel simbolo sono spuntati il leone di san Marco e il logo «Basta Euro» alle europee. Per non parlare delle alleanze del Carroccio con il Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo, la Lista Lavoro Libertà di Giulio Tremonti e Die Freiheitlichen a Bolzano. Ma sempre Lega Nord è rimasta, con le sue 13 «nazioni» e un padre fondatore che tuttora siede a palazzo Madama: «Il socio Umberto Bossi viene nominato presidente federale a vita, salvo rinuncia. È garante dell’unità della Lega Nord e promuove, con ogni idoneo mezzo, l’identità padana in collegamento con il Parlamento della Padania» (articolo 14 dello statuto vigente).

CON SALVINI VICE PREMIER, un bel colpo di spugna? È davvero impensabile azzerare nel nome del Capitano di ventura l’esercito di militanti dei gazebo, i cultori della Serenissima, i devoti celtici o cimbri, i poster di Braveheart e le scritte cubitali «Roma ladrona». Tanto più se l’orizzonte ideologico alternativo – fin dalla primavera 2017 – è tracciato dall’intesa di Salvini con Sergei Zheleznyak, vicesegretario generale di Russia Unita, il partito di Putin.
Il vero e proprio imbuto sarà il consiglio federale della Lega, che potrebbe essere convocato perfino a tambur battente venerdì 7 settembre. All’ordine del giorno non solo le casse più o meno vuote, ma soprattutto il ruolo del «popolo leghista» che non si fa certo mandare in pensione (magari in Calabria).