«Non sono molti quelli che possono genuinamente rivendicare di aver mutato il corso della popular music, Lee è uno di questi». Come non condividere il necrologio della On-U Sound, fucina di sperimentazioni del produttore e dub engineer britannico Adrian Sherwood, per sottolineare la levatura di un personaggio gigantesco, la cui influenza supera i confini della musica giamaicana.
Ottantacinquenne, Lee Perry era una delle presenze più intensamente avvampanti mai apparse sulla scena internazionale del reggae e del dub creativo. Pioniere negli anni Settanta nello sviluppo del dub attraverso l’adozione di innovative tecniche di remix e di effetti di eco e riverbero per creare nuovi strumentali e parti vocali di brani già esistenti.
Lee «Scratch» Perry si è spento domenica 29 agosto nell’ospedale di Lucea, nel Nord Ovest della Giamaica, ma non sono state rese note le cause del decesso. La vedova ha annunciato sulle pagine Facebook e Instagram del grande produttore che è stato aperto un caso giudiziario per accertare le responsabilità della sua morte. Dagli ultimi post pubblicati, Lee Perry sembrava essere in ottima forma, con quell’aria eternamente beffarda e dispettosa. Attualmente intento a realizzare il progetto di una community, onnicomprensiva di uno studio di registrazione e una casa delle arti, con possibilità di cure disintossicanti e salutari per gli ospiti, permacultura e giardino organico. Non esiste una formula o una parola più appropriata per descrivere la dipartita di questo autentico mago del suono, tanto il suo spirito era vitale e contagioso. Alla On-U Sound, Lee Perry era uno di famiglia, non fosse altro per l’intesa di lungo corso tra le due menti dub-centriche, del decano e del discepolo, entrambe capaci, sebbene da angolature differenti, di tracciare percorsi imperscrutabili nel solco della popular music globale. Da Time Boom X De Devil Dead a From the Secret Laboratory, il sodalizio si è rinnovato con la pubblicazione di due album nel 2019, Rainford e il suo «doppio» dub, Heavy Rainford, con la partecipazione di Brian Eno come gesto di rinnovata stima per il titano del dub, tanto piccolo in statura fisica quanto elevato in statura musicale. Rainford è uno degli album più intimi e personali in cui Perry parla di sé, partendo dal suo vero nome e dall’infanzia a Kendal fino al trasferimento a Kingston dove incontra un gruppo di ragazzi che decide di portare in studio di registrazione per poi consegnare al mondo i Wailers (Autobiography of the Upsetter).

LE ORIGINI
Lee Perry ha parlato molte volte delle sue origini da Introducing Myself (Out of Many the Upsetter, 1986) a Jamaican E.T. (2002) con cui ha vinto il Grammy nel 2003, poi ancora in E.T. (Rise Again, con Bill Laswell, 2011), ma sempre in maniera controversa. Un’accurata ricostruzione della vita e della traiettoria artistica di questo gigante della musica senza aggettivi qualificativi, al netto di miti e mitografie sorte intorno al personaggio, è stata realizzata dallo scrittore e giornalista, David Katz nella minuziosa biografia autorizzata, People Funny Boy (che prende il titolo da un brano-invettiva contro il produttore Joe Gibbs con cui Perry aveva lavorato), che ha montato insieme una quantità enorme di fatti, sguardi, dichiarazioni autografe.
Tutte le dichiarazioni inducono a concludere che Rainford Hugh Perry fosse nato a Kendal, sotto il segno dei Pesci, il 20 marzo 1936, terzo di quattro figli. La sua famiglia era poverissima, lui stesso ha dichiarato più volte che la madre lavorava nei campi, che il padre era un ballerino che sbarcava il lunario per strada e di aver lasciato la scuola «perché non c’era niente da imparare. Ho imparato tutto dalla strada». Lee era un nomignolo datogli dalla madre da bambino, con cui lo ha conosciuto il mondo intero.
Lee Perry, noto anche come Scratch, The Upsetter, The Super Ape, Pipecock Jackson, The Genius, Madman, Visionary, Lunatic, Shaman, resta uno dei massimi virtuosi del mixer, tra i primi ad averlo elevato al rango di strumento centrale per l’evoluzione del reggae. Gli inizi verso la fine degli anni Cinquanta con Clement Coxsone Dodd, come tuttofare, cui seguono responsabilità sempre crescenti nella gestione del Sir Coxsone Downbeat sound system e l’opportunità di accumulare esperienza anche nella produzione in studio e nelle audizioni. Ma Lee Perry era ambizioso e si mette contestualmente a produrre e a incidere in proprio qualche brano; uno dei primi pezzi pubblicati, dal titolo Chicken Scratch, gli varrà il principale soprannome con cui sarà chiamato per sempre. Con l’Amalgamed di Joe Gibbs, pubblica nel 1968 The Upsetter, una specie di pamphlet indirizzato allo Studio One di Coxsone, che diventerà un altro suo famosissimo soprannome nonché il nome della sua principale etichetta discografica, fondata nel 1969 e quello della sua house band, The Upsetters. Nello stesso anno la Trojan fa uscire le sue produzioni su etichetta Upsetter inglese, un primo traguardo che gli consente di conquistare il quinto posto delle classifiche britanniche con la seconda uscita, Return of Django. È di questo periodo l’infatuazione di Perry per il western all’italiana con alcuni album ispirati a personaggi e film del genere: da Return of Django – il cui titolo è un riferimento esplicito al film di Sergio Corbucci, Django -, a Clint Eastwood,The Good, the Bad and The Upsetters, Eastwood Rides Again, ispirati ai film di Sergio Leone.

NUOVE STRADE
Dei primissimi anni Settanta sono alcuni album di Scratch volti a sperimentare nuove strade e sonorità nell’ambito della musica reggae: The Upsetter (Trojan, 1970), Many Moods of the Upsetters (Trojan, 1970), Scratch the Upsetter Again (Trojan, 1970) e Africa’s Blood (Trojan, 1972). L’omino minuto di Kendal dimostra subito di aver le idee chiarissime e un estro fuori dal comune; non sbaglia un colpo ed è il primo ad accorgersi e utilizzare le competenze di missaggio di un certo Osbourne Ruddock, che diventerà in seguito King Tubby, per innovare le sue produzioni, costruendo così una nuova estetica al mixer (oltre che una nuova tecnica di missaggio) che avrebbero chiamato «dub»: Rhythm Shower (Upsetter, 1973) e soprattutto Blackboard Jungle Dub (Upsetter, 1974), sono tra i primissimi album dub a presentare missaggi saturi e assemblaggi surrealisti. Quando Lee Perry costruisce il suo leggendario studio di registrazione Black Ark, con l’intento «di voler dare un riparo a tutti i neri», ha già edificato la sua leggenda anche se rimescolerà più volte le carte accelerando e rallentando il ritmo precorrendo tempi, stili e mode. Le sue sperimentazioni con un quattro piste sono costantemente rivolte a vagliare il potenziale dell’equipaggiamento in studio che lui arricchisce con i suoi trucchetti e le trovate bizzarre. «Per me lo studio è una faccenda di vita, è la vita stessa. Le macchine devono essere vive e intelligenti. Io metto la mia mente nelle macchine e le macchine riproducono la realtà». Un antesignano persino dell’Actor Network Theory di Bruno Latour e soci…
War Inna Babylon di Max Romeo, Heart of the Congos dei Congos, Police and Thieves di Junior Murvin con relativa cover dei Clash, sono tutti capisaldi del reggae marchiati a fuoco dal cosiddetto Black Ark sound, quel particolarissimo suono che nessun altro produttore musicale, all’epoca, riusciva ad eguagliare perché a nessun altro era venuto in mente di sotterrare i microfoni sotto la palma fuori dallo studio per produrre un diverso effetto di eco.