Senza la possibilità di giustificazione alcuna, un teatro che non riesce a trovare un pubblico per le proprie attività è da dichiarare fallito. Il rendiconto del bilancio potrà anche dire che entrate e uscite sono congrue, ma esso sarà in pareggio solo per i soldi ricevuti dal bene pubblico. Se questa è l’ottica, un’opera che va in scena al Comunale di Bologna, serve alle famiglie del personale, dal sovrintendente alle maschere, per sopravvivere qui dove in strada non si vede quasi più un’automobile che di listino sia sotto i 18-20.000 euro.
D’altro canto, c’è forse qualcuno che s’impegni ad argomentare che Cassandra di Michael Jarrell o Ledi Makbet Meenkogo nezda (Lady Macbeth del distretto di Mcensk) di Dmitrij Sostakovic siano opere di genere, superflue, da dimenticare? Assai facile incontrare legioni che ne ignorano affatto l’esistenza più che non un qualcuno che conoscendole le respinga. La seconda, invero, andò a scontrarsi contro la ragion politica del «piccolo padre» del Cremlino degli anni 30 e i pennivendoli russi d’allora stigmatizzarono aspramente quel che avevano in precedenza elogiato. Perché mai Stalin si dedicasse con tanta cura a far tormentare Sostakovic resta un mistero. Praticamente messa all’indice questa Makbet, il compositore la rimaneggiò, presentandone la nuova versione, meno sfolgorante, meno dura, ma anch’essa piena di fascino ironico, col titolo Katerina Izmajlova negli anni 60.
Quell’opera rimane una delle più vivaci degli anni della Depressione tra le due guerre. Il melodico qua e là fa capolino, come con un pope nel primo atto che con motivi di banale aspetto etnico dice una marea di scemenze; nei duetti d’amore, dietro il melodico, o al suo fianco, c’è sempre il richiamo della soluzione materiale, il che non porta mai verso l’unisono lirico forse anche solo perché le ragioni del fare non sono le medesime in Katerina e nei maschi con cui si accoppia. Timbri e armonie non convergono sulla sentimentalità, ma nell’indifferente procedere della vita. Il mondo della Ledi è oppresso da un far niente senza sbocchi. Intorno a lei, la demenza conformata alle norme si eccita e ride dei suoi tentativi; la musica ha improvvisi cambi di carattere, ma non illustra pressoché mai l’azione: una componente d’astrazione le serve per deformare un poco nella percezione quel che avviene.
Lo spettacolo visto a Bologna è stato importato da Mosca, dal teatro Helicon. Quanto alle scene, il palcoscenico è accettabile; purtroppo non lo è la regia, in parte per la ruffianeria di quegli inutili richiami a girls and boys, ma soprattutto per un’immersione nel nero e nel coscienziale del testo, resa evidente dal ricomparire in scena delle vittime della Makbet non richiesto dal testo, non suggerito dalla musica.

 

 

Gli interpreti sono un insieme affatto rodato: ogni personaggio ha la sua giusta misura. Helena Michailenko, la Makbet, la cui figura è sostituita nelle funzioni di amante di Sergej, un servo sciupafemmine, da Larisa Kostjuk, che compare nella schiera delle forzate nel secondo atto, sono insieme la protagonista femminile. Sergej, Ilja Houzic, è il protagonista maschile, a tratti inutilmente eccessivo. Il mercante Boris e suo figlio Zinovij non hanno un gran rilievo, né forte identità scenica: sono le due vittime di Katerina. Sotto la bacchetta di Vladimir Pomkin, lo spettacolo ha andamento scorrevole. La musica rivela molti piccoli e meno piccoli debiti con Stravinskij, ma la sua ragioni di vita non si esaurisce affatto in ciò