In piena emergenza sanitaria si è chiusa la campagna elettorale in Ecuador. Oggi 11 aprile, oltre 13 milioni d’ecuadoregni voteranno per l’elezione del binomio presidenziale 2021-2025, in un paese che ha di nuovo applicato un parziale lockdown per l’aumento dei contagi da covid. Negli ultimi giorni, i dati emanati dal ministero della Salute sono preoccupanti, informano che oltre 2000 nuovi casi di contagi in poche ore si sommano ai quasi 340 mila dall’inizio della pandemia, con 17 mila morti. L’Ecuador è tra i paesi con il più alto tasso di mortalità della regione.

E COME SE NON BASTASSE, in questa situazione drammatica due giorni fa si è dimesso (dopo solo 20 giorni) Mauro Falconí, il quinto ministro della Salute in 4 anni. Il nuovo ministro, Camilo Salinas, vicino al candidato presidente Guillermo Lasso, cosa potrà gestire se resterà in carica solo fino al 24 maggio?

Questo è lo scenario in cui si svolgerà oggi il voto. Al ballottaggio sono giunti Andres Aráuz della coalizione della sinistra progressista unita sotto la sigla Unes (Unione della speranza) e Guillermo Lasso della destra liberista, alleatosi con la destra conservatrice del partito social-cristiano di Jaime Nebot. Aráuz, delfino di Rafael Correa (ex presidente della Repubblica), ha chiuso la campagna elettorale nel centro storico della capitale in zona Cumandá.

CHIUSURA VECCHIO STILE, con oltre 3000 persone che hanno salutato tra ovazioni ed entusiasmo anche il messaggio da Bruxelles del loro líder Rafael Correa. Quest’ultimo, a più riprese, ha chiesto ai suoi sostenitori di stare attenti al conteggio del voto perché «faranno tutto il possibile per non farci vincere».

La scelta di chiudere a Quito è stato un atto simbolico per il correismo. La regione del Pichincha è importante nello scacchiere politico nazionale. Bisogna recuperare l’importante sconfitta al primo turno in questa regione, dove Aráuz ha raccolto solo il terzo posto con il 22.53% scavalcato da Lasso con il 25,68% e anche dall’outsider delle elezioni, Xavier Hervás al 23,54%. I sondaggi attualmente vedrebbero un testa a testa nella regione della capitale con un 1% di vantaggio del candidato Lasso.

QUEST’ULTIMO HA CHIUSO la campagna elettorale a 400 km di distanza, a Guayaquil, nel feudo dei suoi alleati social-cristiani guidati dall’ex sindaco della città Jaime Nebot, in modo totalmente differente. Su una banchina del lungomare attorniato dai suoi sostenitori, Lasso ha tenuto il suo ultimo comizio elettorale. Alle spalle una miriade di piccole imbarcazioni di pescatori locali che creavano la coreografia con le bandiere tricolori del paese, invece del bianco del suo partito.
La scelta di chiudere a Guayaquil non è casuale nemmeno per il candidato delle destre. Qui, nel feudo social-cristiano Lasso, al primo turno, ha registrato una sonora sconfitta. Aráuz ha vinto con il 41.83% distanziando notevolmente il banchiere fermo al 25,23%. Qui l’allenza elettorale tra il partito di Lasso e quello di Nebot sembra non abbia funzionato.

In politica, le alleanze non fanno sempre la somma. Vincere in questa grande fetta del paese è importante per conquistare il Palazzo Carondelet. I sondaggi regionali darebbero vincitore Arauz con il 58.85% dei voti contro il 41.15% di Lasso. La partita si giocherà in tre regioni: Pichincha, Manabí e Guayas. Quest’ultima storicamente incide fortemente sulle presidnzali in Ecuador. Un po’ come succede negli Stati uniti con la Florida.

I sondaggi degli ultimi giorni danno Aráuz ancora vincente ma Lasso ha recuperato costantemente. Dai 12 punti percentuali di vantaggio di Aráuz al primo turno, Lasso ne avrebbe recuperati almeno 8-9. L’appoggio incassato da Arauz da parte di Jaime Vargas della Conaie (Confederazione delle nazionalità indigene) potrebbe essere decisiva per la vittoria del candidato della sinistra.

TUTTAVIA, GRAN PARTE del movimento indigeno ha scelto di mentenere ferma la posizione del voto nullo ideologico, che secondo i sondaggi si attesterebbe intorno al 25%. Quest’ultimo dato potrebbe rappresentare la vera novità in questa elezione, finanche per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica.