Magnetiche, con un’intensità analoga a quella della calamita sul metallo, le 77 fotografie in grande formato di Richard Mosse (Kilkenny, Irlanda 1980, vive e lavora a New York) sono attivatori sensoriali che sollecitano una significativa analisi critica del reale. Certamente la componente cromatica non è solo qualità estetica, bensì elemento chiave di una perlustrazione visiva che sovverte le regole della fotografia documentaria tradizionale, in particolare del fotogiornalismo e della fotografia di guerra.

UNO «SPETTACOLO con il contenuto» le definisce Urs Stahel curatore di Richard Mosse – Displaced. Migrazione, conflitto, cambiamento climatico organizzata dalla Fondazione MAST di Bologna (fino al 12 settembre 2021), prima mostra antologica dedicata all’artista che nel 2013 fu scelto per rappresentare l’Irlanda alla 55esima Biennale d’Arte di Venezia.

NEI SUOI PROGETTI A LUNGO termine più recenti Ultra e Tristes Tropiques (iniziati nel 2018-2019 e attualmente in corso) la «scena del crimine» si sposta dalle catastrofi umanitarie (situazioni di conflitto, sfruttamento, carestie e migrazioni dal Kosovo al Congo, dal confine Messico-Stati Uniti ai campi profughi di Lesbo o della valle della Bekaa, dalla Malesia all’Iraq) all’ecosistema della foresta pluviale sudamericana dove perlustra e mappa i «crimini normalizzati» che continuano ad essere perpetrati ai danni della natura e dell’ambiente.

«SONO AFFASCINATO dai limiti della fotografia documentaria ma anche dalla sua forza», afferma Mosse che nella sua narrazione porta all’estremo lo spettro del visibile per far emergere ciò che è solitamente nascosto, invisibile, ignorato. Un rigore nel maneggiare la fotografia come strumento di denuncia in cui la tensione etica/estetica è in parte sollecitata dall’impegno sociale e pacifista che deriva dalla sua appartenenza ad una famiglia quacchera, pur dichiarandosi non praticante.

ALLONTANARSI DAI meccanismi standardizzati della visione per Richard Mosse è una necessità che lo porta ad avvalersi di quegli stessi dispositivi utilizzati in ambito militare per «stanare il nemico», in particolare la pellicola Kodak Aerochrome (fuori produzione) sensibile ai raggi infrarossi, le telecamere termografiche e le torce a ultravioletti che dal punto di vista cromatico determinano lo sconfinamento in una dimensione dai toni surreali

CON QUESTI STRUMENTI l’artista, negli ultimi quattro anni, è tornato puntualmente a fotografare la foresta pluviale partendo da quella dell’Ecuador per spostarsi nell’area dell’Amazzonia brasiliana, in particolare del Pantanal che dal 2000 è stata inserita tra le Riserve della Biosfera e patrimonio Unesco. In Ultra la sua attenzione si focalizza sull’analisi ravvicinata degli elementi del sottobosco che vivono in simbiosi, tra «proliferazione e soppressione, voracità e convivenza, ospitalità e parassitismo» con il sistema che si è sviluppato dalla notte dei tempi: strategie di sopravvivenza svelate proprio dalla torcia a luce ultravioletta puntata su muschi e licheni, sulla pianta carnivora Dionaea muscipula o «venere acchiappamosche», sulle orchidee selvatiche, sulle bromeliacee dalle foglie disposte a rosetta e che si traducono visivamente in caotiche texture dai colori sfavillanti e fluorescenti.

L’ULTIMO PROGETTO, Tristes Tropiques, invece ha come scenario il Pantanal in cui l’allerta ha un carattere di urgenza, come denuncia anche l’Inpe (Istituto nazionale di ricerche spaziali), da quando è al potere il presidente Bolsonaro con la registrazione di un’impennata nell’aumento della deforestazione, anche a causa degli incendi dolosi del sopraggiungere di allevamenti di bestiame, piantagioni di palma da olio, miniere d’oro illegali a cui si è aggiunta la recente crisi pandemica.

TUTTI FATTORI CHE minacciano i fragili equilibri della foresta pluviale. In questo paradiso in parte perduto Richard Mosse documenta con estrema precisione i diversi tipi di distruzione servendosi del telerilevamento multispettrale abbinato all’uso di droni per riprese aeree. L’ambiguità di questa bellezza «destituita» è sotto gli occhi di tutti, inesorabile premonizione di un futuro imminente.