L’economia non osservata, ossia la somma dell’economia sommersa e delle attività illegali, nel 2016 vale circa 210 miliardi di euro, pari al 12,4% del Pil. Lo ha indicato l’Istat secondo la quale le stime al 2016 hanno confermato la tendenza alla discesa dell’incidenza di questa componente dell’economia sul Pil italiano, dopo il picco raggiunto nel 2014 (13,1%).

Il valore aggiunto generato dall’economia sommersa (che va dalle sotto-dichiarazioni all’impiego di lavoro irregolare, dagli affitti in nero alle mance) ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro; quello connesso alle attività illegali (produzione e traffico di droga, prostituzione e contrabbando di tabacco), incluso l’indotto, risulta pari a circa 18 miliardi. Nel complesso il valore aggiunto è di poco meno di 210 miliardi di euro (erano 207,4 nel 2015), con un’incidenza sul Pil pari al 12,4% (12,6% nel 2015).

Nel 2016, la componente relativa alla sotto-dichiarazione pesava per il 45,5% del valore aggiunto (circa -0,6 punti percentuali rispetto al 2015), circa 95 miliardi di euro. La restante parte è attribuibile per il 37,2% all’impiego di lavoro irregolare, circa 78 miliardi; per l’8,8% (era 9,6% nel 2015) ad affitti in nero, mance e integrazione domanda-offerta, (18 miliardi); l’8,6% alle attività illegali (in aumento dall’8,2%). Il 33,3% delle attività in nero o sommerse si svolge nel commercio. Trasporti, alloggio e ristorazione (23,7%), costruzioni (22,7%) sono i comparti dove l’incidenza dell’economia sommersa è più elevata.