La storia di ripete per Musa Zabout. «Nel 2009 gli israeliani entrarono da Est (durante l’offensiva «Piombo fuso», ndr) – ricorda – e i loro carri armati trasformarono in un ammasso di macerie la nostra fabbrica di succhi di frutta. In un attimo perdemmo 1,4 milioni di dollari. Abbiamo lavorato tre anni per riaprire, ora ci ritroviamo nella stessa situazione e i nostri 50 operai non hanno più un lavoro».

La al Medina Soft Drinks della famiglia Zabout non esiste più, come centinaia di case di Shujayea, il quartiere orientale di Gaza city al centro due settimane fa dell’offensiva di terra dell’esercito israeliano. La stessa sorte è toccata in quella stessa zona a tante piccole imprese, quasi tutte a conduzione familiare, spazzate via dalle cannonate e dai raid aerei.

«Qualche giorno fa uno dei nostri dipendenti si è avventurato in quella zona approfittando di una breve tregua e ha scattato queste foto. Un disastro!», ci dice scorrendo sul suo cellulare le foto di ciò che resta della fabbrica. «Non ci arrendiamo – avverte l’imprenditore – ci piacerebbe ricostruire la al Medina, perché la nostra famiglia produce bibite e succhi di frutta da decenni, ma non abbiamo più un dollaro da investire».

I danni all’economia di Gaza, la disoccupazione creata dalla distruzione o dalla chiusura forzata di fabbriche e aziende private, sono tra gli aspetti più gravi della campagna israeliana cominciata l’8 luglio. L’economia della Striscia aveva già perduto 700 milioni di dollari a causa di «Piombo fuso» (2009) e altri 200 milioni nel 2012 durante «Colonna di Difesa». E i danni di quest’ultima operazione militare sono considerevolmente più alti. Il ministro palestinese dell’economia, Mohammad Mustafa, ha calcolato in 3 miliardi di dollari le perdite complessive subite sino ad ora da Gaza, quasi il doppio del Pil della Striscia (1,8 miliardi di dollari nel 2013).

Non sono perciò pochi quelli che a Gaza spiegano la pesantezza dei bombardamenti in corso dall’8 luglio con l’intenzione di Israele di infliggere un colpo tanto forte da tenere occupati per prossimi anni i palestinesi nella ricostruzione piuttosto che a reclamare i loro diritti o a denunciare per le chiusure imposte da Israele e dall’Egitto. Senza contare che l’economia di Gaza già prima dell’offensiva israeliana soffriva le conseguenze di sette anni di embargo.

«Le due precedenti offensive militari hanno distrutto o danneggiato gravemente circa 1.700 aziende e fabbriche, e quella in corso si rivelerà più devastante», prevede Ali Hayek, vice presidente dell’associazione degli uomini d’affari di Gaza. «In questo momento a causa dell’attacco israeliano molte aree sono inaccessibili – dice Hayek – quando avremo la possibilità di andare in quelle zone temo che scopriremo una realtà terribile, prima di tutto per gli esseri umani e poi per le cose». Nabil Abu Moeleq, presidente dell’unione degli imprenditori edili di Gaza, ricorda che in questi giorni le bombe israeliane stanno facendo a pezzi o danneggiando anche le infrastrutture civili: la centrale e la rete elettrica, le linee telefoniche, la rete idrica.

Danni che colpiscono direttamente la popolazione civile e che rallenteranno la ricostruzione. «Le perdite parziali subite dal nostro settore sono stimate in 800 milioni di dollari», riferisce Moeleq, rimarcando che l’80% delle fabbriche aveva già chiuso negli ultimi sette anni a causa del blocco israeliano e per mancanza delle materie prime. E senza fabbriche e aziende la disoccupazione a Gaza non potrà che aumentare, passando dall’attuale 40 al 44%, predeve l’economista ed esperto del lavoro Maher Tabaa. Di fatto a Gaza le uniche attività che ancora funzionano sono la vendita al dettaglio dei generi alimentari e la rete di distribuzione del carburante.

In questo clima non è facile resistere e programmare il futuro, persino per quella parte di popolazione di Gaza, molto esigua, che può definirsi benestante. Si tratta di imprenditori, proprietari di molti appartamenti, dipendenti o esperti delle agenzie umanitarie internazionali. Persone che fanno fatica ad immaginare il successo di investimenti futuri nella loro terra. «Amiamo Gaza, è la nostra patria, è la nostra terra. Ma tutte le volte che abbiamo avviato un progetto un po’ più grande gli israeliani lo hanno distrutto. Abbiamo perduto 4 milioni di dollari nel 2009 e altri milioni di dollari sono andati in fumo nei giorni scorsi. Sono colpi che ti lasciano senza fiato», ci dice Mahmoud Abu Ghalion, proprietario assieme al padre e ai fratelli di una fabbrica di piastrelle a Beit Hanun. «Gli israeliani hanno distrutto tutto: il capannone, i montacarichi e gli autocarri».