C’è qualcosa di più, nella frase «voglio raccontare la mia versione della storia», che una semplice affermazione: un punto di vista soggettivo che è l’attribuzione di un diritto universale. Nel film Saltwater Dreams (2016), basato su eventi reali vissuti da una famiglia indigena e girato con un iPhone dal collettivo indigeno australiano Karrabing Film Collective Wutharr, lo scenario naturale accompagna l’osservatore in un dialogo serrato tra la realtà del presente, condizionata da leggi d’impronta postcoloniale e codici morali, e un passato surreale intriso dello spirito degli antenati.

L’OPERA FA PARTE della collettiva Le 3 ecologie, prima mostra a cura della Direttrice Caterina Riva, al Macte Museo di Arte Contemporanea di Termoli (fino al 15 maggio). In un quartiere diventato residenziale, all’interno della struttura dell’ex mercato rionale (a lungo abbandonata è stata destinata ad hub culturale), questa mostra di arte contemporanea offre stimolanti spunti di riflessione attraverso i lavori di Matilde Cassani, Piero Gilardi, Karrabing Film Collective, Len Lye, Jumana Manna, Jonatah Manno, Silvia Mariotti, Francis Offman, Francesco Simeti, Nicola Toffolini e Micha Zweifel.

TUTTO PARTE dalla suggestione del saggio Les Trois Écologies (1989) dello psicoanalista e filosofo francese Felix Guattari, il quale afferma che «le perturbazioni ecologiche dell’ambiente sono solo la parte visibile di un male più profondo e considerevole, relativo ai modi di vivere e di essere nella società su questo pianeta. L’ecologia ambientale va considerata in un tutt’uno con l’ecologia sociale e l’ecologia mentale, attraverso un’ecosofia etico-politica. Non si tratta di unificare arbitrariamente sotto un’ideologia disinvolta domini eterogenei, ma di sostenersi a vicenda con pratiche innovative di ricomposizione di soggettività individuali e collettive, all’interno di nuovi contesti tecnico-scientifici e nuove coordinate geopolitiche».

IN «LE 3 ECOLOGIE» la visione «non gerarchica» delle opere, nella sala circolare e negli ambienti laterali, riflette l’idea stessa di una mostra concepita come organismo esistente nelle sue mutazioni e vede un primo riscontro nell’animazione Tusalava (1929) dell’artista neozelandese Len Lye, esempio di sperimentazione pionieristica che cita la cosmologia dell’arte tribale in relazione all’arte moderna. Anche di fronte a quest’opera, come del resto in tutto il percorso espositivo, il pubblico è invitato a mettersi in gioco, avvicinandosi sempre di più per una lettura attenta che non si lasci sfuggire le componenti più giocose, così come gli elementi spiazzanti.

UN ESEMPIO E’ «IPOGEA» (2010), l’installazione interattiva di Piero Gilardi (artista e attivista ecologista che, come è noto, è l’ideatore del Pav – Parco Arte Vivente è un Centro sperimentale d’arte contemporanea di Torino), che pone il visitatore in una condizione di consapevolezza, nell’azione stessa del prendere la torcia e puntarla verso l’interno della «caverna» (originariamente visitabile) che si attiva sonoramente.

QUANTO AL WALLPAPER di Francesco Simeti – Hawkweed (2016) – il pattern reiterato cela nell’apparente declinazione classico-naturalistica una sorta di discarica a cielo aperto. Analogamente Jonatah Manno popola le sue sculture in resina epossidica – Current currents currents (2021-22) – con alghe miste a microrganismi plastici che raccoglie nelle acque del Salento, mentre Silvia Mariotti in Boutade (2020) rimanda ad ambientazioni tropicali in cui la natura rigogliosa implica una bellezza «costruita» attraverso le sue varietà.

NELLA CORALITA’ DI QUESTA narrazione condivisa, un ulteriore passaggio è dato dal confronto con una selezione di opere del Premio Termoli (inaugurato nel 1955): in questo contesto Trittico verde (1964), il dipinto ad olio di Guido Strazza vincitore del IX Premio Termoli, è l’affermazione di una qualità intrinseca che nasce dal sentimento di autentica unione dell’artista con la natura.