La città barocca di Lecce, la Firenze del Sud, torna al voto per eleggere il prossimo sindaco dopo il decennio targato Perrone (che nel 2007 e nel 2012 vinse al primo turno) seguìto al decennio targato Poli Bortone: un ventennio di governo di centrodestra che alla vigilia del voto sembra difficile da estirpare, in cui non sono mancati gli scandali, come quello sui filobus, con un’inchiesta partita nel 2011, che ha visto aprirsi un secondo filone di indagine, e che ha macchiato gli anni di Poli Bortone e colpito per effetto domino il cammino di Perrone.

Al di là delle inchieste giudiziarie però, Lecce per molti resta ancora oggi una città «salottiera», a tratti monarchica, per altri massonica: dove vige un secolare sistema «feudale» mantenuto in piedi da importanti famiglie o «casate» e lobby di potere che mirano unicamente a mantenere in auge i loro interessi, appoggiando l’area politica più in grado di sostenerli e agevolarli, a prescindere dal loro colore. In questi ultimi venti anni, secondo l’analisi del movimento «Lecce Bene Comune», l’area di centrodestra è quella che è maggiormente riuscita in questa impresa.

Quest’anno, per la poltrona di primo cittadino a palazzo Carafa, corrono in sei: Matteo Centonze per Casa Pound, Alessandro Delli Noci (Andare Oltre, CambiAmo Lecce, Lecce Area Metropolitana, Sveglia Lecce, Udc, Un’Altra Lecce, Pensionati e Invalidi) discusso amico del governatore della Puglia, Michele Emiliano, appoggiato da uno schieramento civico di centro, Mauro Giliberti candidato del centrodestra (Direzione Italia, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lecce città del mondo, Grande Lecce, Lecce popolare, Lista Giliberti, Noi con Salvini), Fabio Valente per il Movimento Cinque Stelle, Carlo Salvemini per il centrosinistra (Lecce città pubblica, Una buona storia per Lecce, Idea per Lecce, La Puglia in più, Pd) ed infine Luca Ruberti (Lecce bene comune) per l’area di sinistra.

Escluso Walter Ronzini, candidato del Movimento sociale italiano-Destra nazionale, a cui Fratelli d’Italia ha negato l’utilizzo del simbolo del Msi, decisione contro la quale lo stesso Ronzini ha presentato ricorso urgente al Tar.

Come detto, mettersi alle spalle il ventennio di centrodestra, che appoggia in blocco la candidatura di Giliberti, non sarà facile. Ci proveranno soprattutto Carlo Salvemini e Luca Ruberti, seppur con idee e programmi del tutto differenti, nonostante un passato in «comune». Il primo, figlio dell’ultimo sindaco di centrosinistra nel lontano ’97, ha lasciato Lecce Bene Comune nel 2015, lista con la quale era stato eletto consigliere comunale nel 2012 per confluire nel gruppo misto, rompendo così un’alleanza nata con l’esordio del movimento nel 2012. Finendo con il diventare il candidato di quel centrosinistra e di quel Partito democratico che da queste parti è in minoranza da vent’anni.

Ed è contro questa cappa soffocante e questo intreccio di interessi e poteri forti, che da un quinquennio Lecce Bene Comune lavora sul territorio, dopo essere ripartita da un luogo simbolo della città, oggi laboratorio sociale e politico dove fare comunità e costruire un tessuto connettivo tra le persone: la «Macelleria Sociale» nell’area periferica denominata 167.

Dopo il buon risultato delle comunali del 2012, dove ottenne il 4,62% ed elesse due consiglieri, e dopo la scissione del 2015, il lavoro non si è fermato: si è continuato a studiare e a formarsi attraverso i Laboratori di strada, a confrontarsi sui bisogni reali con i cittadini e le altre associazioni, a difendere il territorio, l’ambiente e le sue peculiarità. Il percorso, alla «Macelleria Sociale» lo sanno bene, è ancora molto lungo: l’obiettivo però è quello di costruire un nuovo municipalismo, sull’esempio di Napoli, costruendo un’alternativa dal basso verso l’alto.

Impossibile, quindi, per Lecce Bene Comune, una futura alleanza o un appoggio esterno al Pd e all’area di centrosinistra in caso di ballottaggio. Le politiche a livello nazionale e locale sono del tutto opposte. E che da queste parti sono tramontate da tempo.