Perché gli israeliani preferiscono Hillary Clinton all’ebreo Bernie Sanders per la nomination democratica? E perché Sanders piace sempre di più agli americani di origine araba? Questi interrogativi restano ai margini delle primarie Usa giunte ieri al nuovo super Tuesday in Florida, North Carolina, Ohio, Missouri e Illinois. Potrebbero però diventare importanti se il senatore del Vermont riuscirà a insidiare concretamente la potente Hillary Clinton. Una possibilità remota. Comunque è interessante che il primo ebreo americano impegnato in una corsa vera verso la nomination non raccolga le simpatie degli israeliani. «I motivi sono diversi» ci spiega l’analista Eytan Gilboa, docente all’Università Bar Ilan di Tel Aviv (un laboratorio politico della destra israeliana) «Sanders sembra nascondere la sua origine ebraica, non la manifesta con orgoglio e questo non piace alla popolazione israeliana e ai suoi rappresentanti politici». Un altro motivo, aggiunge Gilboa «è il suo orientamento socialista che insospettisce la maggioranza degli israeliani ormai schierata a destra». Contano anche le posizioni di Sanders su Israele, i palestinesi e il Medio Oriente. «Sanders fino a oggi non ha detto molto su questi temi ma non ha mancato, in varie occasioni, di criticare lo Stato di Israele e ha difeso i diritti dei palestinesi», sottolinea Gilboa. Perciò gli israeliani, dice l’analista, preferiscono Hillary Clinton «esperta in politica estera e da sempre schierata dalla parte di Israele, senza dimenticare che suo marito Bill è stato uno dei presidenti americani più vicini al nostro Paese».

In poche parole Bernie Sanders non mostra un particolare attaccamento allo Stato ebraico e le sue critiche a Israele lo rendono indigesto. Non è stato sufficiente che il senatore del Vermont, che ha avuto parte della sua famiglia sterminata dai nazisti, sia detto qualche giorno fa «orgoglioso di essere ebreo» durante un dibattito, e neppure che parlerà di fronte all’Aipac, la potente lobby filo-israeliana. Il «socialista» Sanders pensa troppo alla working class, alla Rust Belt, la «cintura arruginita» della zona industriale del Midwest, colpita duramente dalla crisi economica, e troppo poco a Israele e a come aiutarlo a conservare la supremazia militare in Medio Oriente. Per questo, e non solo, guadagna consensi tra gli americani di origine araba – in maggioranza cristiani e non musulmani come molti credono – che però rappresentano appena l’1% della popolazione Usa e non possono influenzare in modo significativo gli esiti delle primarie e delle presidenziali. Tuttavia i loro voti qualche giorno fa sono stati fondamentali per regalare a Sanders la vittoria in Michigan.

Il sostegno a Israele è un tema centrale delle primarie e delle presidenziali americane. I candidati alla Casa Bianca di solito si sfidano a colpi di promesse di aiuti e di politiche a favore dello Stato ebraico. In occasione di questo nuovo super Tuesday, la questione di Israele e della sua posizione nel Medio Oriente è stato motivo di scontro in casa repubblicana dove il frontrunner Donald Trump è stato attaccato dai suoi rivali Marco Rubio e Ted Cruz perché si è proposto come «mediatore neutrale» tra israeliani e palestinesi. Peraltro in tre – Ohio, Illinois e Florida – dei cinque Stati in cui si è votato per questo nuovo capitolo delle primarie Usa sono presenti comunità ebraiche consistenti. Rubio ha puntato anche sul voto degli americani ebrei per provare a mettere in difficoltà Trump. «In Israele – dice Eytan Gilboa – la maggioranza della popolazione e, con ogni probabilità, il premier Netanyahu preferirebbero vedere un repubblicano alla Casa Bianca. Molti credono che i repubblicani, almeno in questi ultimi anni, si siano dimostrati più vicini a Israele rispetto ai democratici. Soprattutto se guardiamo alla presidenza di Barack Obama». Trump non genera entusiasmo, a causa della sua «imprevedibilità», spiega l’analista, «ma alcune delle sue posizioni sono condivise da tanti israeliani che perciò vedrebbero con favore il suo ingresso alla Casa Bianca al posto di Obama».