«Leadbelly, al secolo Huddie Ledbetter, originario delle paludi della Louisiana, è un negro armato di coltello che ha ammazzato un uomo e ne ha gravemente ferito un altro, ma la cui rauca voce tenorile e le dita che volano sulle corde affascinano sicuramente chi lo ascolta». È il 3 gennaio del 1934 quando il New York Herald Tribune celebra a suo modo quello che definisce come «un album ambulante, cantante e rissoso delle ballate negre». L’America bianca sembra scoprire l’esotico e il misterioso che si celano a qualche chilometro da casa, anche se in realtà raccontano una realtà per molti versi invisibile. L’interesse dello star system seguirà solo di lì a pochi anni. L’occasione è del resto chiarita dallo stesso giornale che celebra «lo scopritore» di tale selvaggia energia: «John A. Lomax, instancabile studioso e compilatore del folklore musicale americano, è arrivato a New York con il figlio, le decine di dischi prodotti dai due per la Biblioteca del Congresso durante il loto tour di un anno tra carceri e piantagioni del Sud» e, appunto, Leadbelly.

ERA PASSATO meno di un anno da quando, nell’estate del 1933, mentre negli Stati del Sud Ovest del Paese la fantasia popolare si nutriva delle gesta criminali di Bonnie e Clyde, una berlina Ford nera si era presentata al cancello del penitenziario di Angola, novemila ettari di campi di cotone e canna da zucchero circondati da foreste e paludi, una delle prigioni più terribili d’America che ospitava in condizioni disumane oltre duemila prigionieri. Con un pesante apparecchio metallico con cui registrare e decine di dischi vergini che occupavano il sedile posteriore, John e Alan Lomax stavano attraversando le regioni meridionali per raccogliere tracce di quel repertorio tradizionale che avrebbe in seguito alimentato l’Archive of American Folk Song della Biblioteca del Congresso a Washington. I Lomax avevano capito che nel Sud le prigioni erano spesso i luoghi in cui si poteva raccogliere, in un tempo e uno spazio ben delimitati, un numero proporzionalmente molto elevato di canti e ballate della popolazione afroamericana e per questo avevano chiesto e ottenuto da molti governatori il permesso di incontrare e registrare i prigionieri.

Così, ad Angola dove era arrivato solo tre anni prima per scontare l’ennesima condanna, in questo caso per una rissa, i due ricercatori avevano incontrato Leadbelly, rimanendo affascinati dalle sue doti di cantante e chitarrista. Solo le basi di quel mito, che lui stesso avrebbe in seguito alimentato rendendo più gustoso e affascinante il racconto di ogni particolare della sua vita complicata e randagia, destinato ad influenzare generazioni di musicisti, soprattutto ma non solo bianchi, e ad imprimere un’impronta indelebile sul successo del blues nei decenni successivi.

UNA STORIA, che dalla dimensione strettamente biografica si allarga fino a restituire una sorta di memoria collettiva di generazioni di neri, e di un capitolo non secondario della storia americana, raccolta da Edmond G. Addeo e Richard M. Garvin in Leadbelly. Il grande romanzo di un re del blues (pp. 292, euro 17) proposto da Shake nella bella collana Black Prometheus che ospita già «classici» come Deep blues di Robert Palmer e Il popolo del blues di Amiri Baraka.

Cresciuto nelle campagne intorno a Shreveport, nella Louisiana orientale non lontano dal confine con il Texas, in una famiglia di contadini proprietaria di diversi ettari di terra, il giovane Huddie Ledbetter coltiva fin da ragazzo la passione per la musica, la fisarmonica prima della chitarra come si addice a questa zona dove i coloni francesi e i loro discendenti cajun hanno lasciato solide tracce. Al duro lavoro nei campi di cotone che ne plasmerà il corpo massiccio, si affianca nel giovane la voglia di esplorare il mondo con il proposito, prima o poi, di mantenersi proprio grazie alla musica. Ma, quando è ancora un bambino, la tanto agognata visita alla città vicina in compagnia del padre si trasformerà in una tragedia: assalito insieme a un vecchio musicista nero, Sycamore Slim, da due mandriani bianchi e ubriachi, il ragazzo vedrà assassinare l’uomo sotto i suoi occhi, riuscendo a stento a sottrarsi lui stesso alla violenza. Solo l’annuncio della vita che l’attendeva. «Quando vai via dalla fattoria ti lasci la pace alle spalle. Ai cittadini non frega un accidente della gente nera», l’ammonimento del padre.

EPPURE, su Leadbelly il luccichio della città avrebbe esercitato per sempre un fascino irresistibile. Specie quello dei quartieri a luci rosse dove bordelli e alberghi equivoci si contendevano le strade con ogni sorta di «luogo della musica» dove esibirsi e sperare di coltivare la propria notorietà. Alcol e risse, il mito della propria forza e di un insaziabile appetito sessuale da nutrire ad ogni costo accompagneranno così il destino del musicista, costretto nel frattempo a mantenersi con qualunque genere di lavoro nei campi, lungo i binari della ferrovia e intorno ai pozzi quando il petrolio farà la sua definitiva comparsa nelle terre comprese tra Texas e Louisiana.

Una dopo l’altra, pioveranno sul giovane una serie di accuse e di condanne, la più grave a 35 anni per omicidio, tali da condurlo nello spazio di pochi anni, prima di Angola, nelle celle della prigione di Shreveport, nel campo di lavoro forzato di Harrison e in quello di Huntsville, dove i detenuti, incatenati l’uno all’altro fino al numero di trecento erano costretti a spaccare pietre e abbattere alberi per costruire strade anche per sedici ore al giorno, tanto da ricorrere alle automutilazioni pur di lasciare quell’inferno.

IN TUTTO QUESTO TEMPO, Leadbelly continuò, quando possibile a suonare, passando da una normale chitarra a una 12 corde che faceva sembrare a chi lo ascoltava che non si stesse esibendo da solo. E per ben due volte avrebbe ottenuto la grazia o una scarcerazione proprio attraverso la musica, cantando per i governatori degli Stati in cui si trovava imprigionato. Anche alcuni dei suoi brani più famosi, come «Midnight special», poi ripreso e riadattato in decine di versioni, furono scritti in una cella del carcere di Huntsville. In particolare, il blues del «treno di mezzanotte» evoca il racconto di un compagno di prigionia e una leggenda diffusa tra i detenuti della prigione texana. «Si dice da tempo di quel treno che, se sei tanto fortunato, da farti illuminare dal fanale delle locomotiva, torni libero».

QUANDO, NEL 1933, i Lomax scoprono il musicista ad Angola, Leadbelly ha 43 anni, si è esibito in centinaia di feste di campagna, sukey-jump e bordelli per pochi centesimi dal Red River a New Orleans. I suoi nonni paterni, che non ha mai visto, sono stati uccisi dal Ku Klux Klan, lui ha lavorato duramente, conosciuto il razzismo e lo sfruttamento, a un certo punto ha forse pensato anche di aderire agli Industrial Workers of the World o alle organizzazioni socialiste afroamericane. La gratitudine verso i musicologi che riescono a convincere le autorità a farlo scarcerare, forse anche grazie ad un disco che contiene su una facciata la richiesta al governatore della Louisiana Oscar K. Allen e sull’altra una canzone destinata alla celebrità, «Goodnight Irene», è tale che Leadbelly farà da autista per John e condurrà i due in una decina di penitenziari del Sud alla ricerca di altri musicisti. Seguirà un breve periodo di celebrità interrotto nel dicembre del 1949 dalla morte per malattia dell’artista.

Però, a capodanno del 1935, quando Leadbelly arriva per la prima volta in vita sua a New York dove grazie ai Lomax è impegnato in una serie di esibizioni che ne consacreranno la notorietà di fronte alla critica, non c’è un albergo che lo accetti e dovrà ripiegare sull’ostello dell’associazione giovani cristiani di Harlem per passare la notte. «Lo so, Huddie. Anche qui c’è tanta discriminazione. Non è tremenda come dove abiti, ma c’è ancora tanta gente stupida a New York che non vuole che i neri stiano dove stanno i bianchi», le parole vagamente consolatorie di Alan Lomax.

LA LEGGENDA vuole che il «padre del blues» Robert Johnson abbia incontrato il Diavolo ad un crocevia e abbia appreso tutto sulla musica scambiandolo con la propria anima. Per Huddie Ledbetter era stato l’incontro con Blind Lemon Jefferson, un altro celebre musicista nero, avvenuto tanti anni prima nelle campagne texane intorno a Houston. Era stato lui a raccontare a Huddie «storie strazianti di sofferenze, malattie, siccità, storie di donne nei campi le cui dita sanguinanti macchiavano il cotone, di fruste messe in mano ai sadici e di bambini che tutti i giorni morivano per i morsi dei ratti, immagini di ossa che spuntavano dalla carne e occhi mancanti, di vecchi storpi e neonati morti e madri che vendevano il proprio latte». Del resto, la stessa vita di Leadbelly non affermava certo il contrario. «Il messaggio di Lemon passò. E il blues entrò in lui».