«Una pioggia di lacrimogeni in via Tolemaide ha spezzato in due il corteo. Io mi assumo la mia responsabilità davanti a tutto il Paese: quella di piazza Alimonda è stata un’imboscata». La voce di Don Gallo, registrata dalla trasmissione Porta a Porta la sera di quel 20 luglio 2001 risuona in piazza Alimonda poco prima delle 17.25, ora in cui come ogni anno un lungo applauso e i pugni al cielo ricordano l’attimo in cui la vita di un ragazzo di 23 anni venne spazzata via da un colpo di pistola sparatogli in faccia da un carabiniere.

Sembra quasi di vederlo il prete di strada, panama in testa e sigaro in bocca, quando in quella stessa piazza, ancora cinque anni fa nel decennale del G8, arringava come sua abitudine la folla invitando il movimento a riorganizzarsi. Anche Heidi Giuliani lo ricorda dal palco: «Non lo nomino – dice – perché è qui con noi e lui ricorderebbe con noi quei ragazzi che non hanno ucciso nessuno né ferito nessuno e sono ancora in carcere».

In piazza Alimonda ci sono alcuni giovani attirati forse anche dalla presenza dei fumettisti Alessio Spataro e Zerocalcare. Gli altri sono facce note. Tra loro, con un velo di malinconia, si autodefiniscono «reduci» di un movimento imponente quanto fragile, azzerato nello spazio di una notte e mai più rinato, nonostante quelle istanze siano oggi più che mai attuali. «Abbiamo il dovere politico e morale di cercare di ricostruirlo – dice l’ex portavoce del Genova Social Forum Vittorio Agnoletto – sapendo che non basta un movimento nazionale , come ci ha insegnato la Grecia che si è scontrata con i grandi poteri finanziari globali e ha perso». Agnoletto ha anche bollato come «indecente e inaccettabile» il fatto che nell’anniversario del G8 «il governo cancelli la discussione sulla legge sulla tortura ignorando quanto è avvenuto alla Diaz e a Bolzaneto e facendo sì che l’Italia resti l’unico Paese europeo senza un legge che punisca questi abusi».

«Questa decisione – commenta Antonio Bruno, consigliere comunale e portavoce dell’ormai disciolto Comitato Verità e Giustizia per Genova – significa che una parte consistente del Parlamento pensa sia lecito per le forze repressive dello Stato torturare senza che venga previsto un reato specifico come in tutti gli stati democratici».

Ancora una volta qualcuno con un pennarello blu ha modificato la toponomastica ufficiale della piazza trasformandola in «piazza Carlo Giuliani». Il ceppo è lì al centro dell’aiuola: qualcuno depone dei fiori, altri posizionano un grande cartello: «Le nostre idee non moriranno mai». Sulla cancellata della chiesa ci sono gli striscioni “storici” che vengono conservati e strotolati di anno in anno. Anche il palco e la musica sono sempre gli stessi, simboli famigliari che servono a dare forza al rito collettivo della memoria. Tra i volti ci sono quelli inevitabilmente invecchiati di tanti leader di quel movimento e quelli dei giovani che sono diventanti adulti e ora portano in piazza i loro bambini.

I grandi numeri non ci sono più da tempo in piazza Alimonda, ma ogni anno c’è chi vuole continuare ad esserci. «Siamo qui perché almeno la verità vogliamo che venga fuori – dice Giuliano Giuliani – vogliamo che chi avrebbe l’obbligo di lavorare per la verità si decidesse a farlo. Certo, per i processi ci vogliono magistrati che siano persone degne, come Enrico Zucca, Francesco Cardona, Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati che hanno insistito per arrivare alla verità su Diaz e Bolzaneto. A noi sono toccati invece individui un po’ farlocchi che oltretutto, essendo l’omicidio di Carlo il primo fatto grave del G8, lo hanno archiviato per togliersi dall’impiccio».

Il sindacato di polizia Coisp come ogni hanno ha cercato di ottenere un po’ di visibilità, prima provando a prendersi piazza Alimonda, prontamente stoppato dal diniego della Questura, poi organizzando un convegno dove aveva invitato nientemeno che Mario Placanica che però, alla fine, visto lo stato mentale in cui si trova (ancora tre mesi fa su Facebook aveva annunciato di volersi suicidare perché abbandonato da tutti) ha dato forfait. Risultato? Una sala semivuota e un cospicuo – come da tradizione – impiego di forze di polizia per tenere lontani eventuali contestatori che li hanno però saggiamente ignorati.