Se per William Faulkner, il cantore dolente del Sud degli Stati Uniti, il Mississippi rappresentava una metafora del mistero dell’esistenza, «per capire il mondo dovete prima capire il Mississippi» aveva scritto l’autore premio Nobel per la letteratura nel 1949, per Greg Iles, più prosaicamente, l’ex Stato confederato e soprattutto il fiume da cui prende il nome incarnano quel misto di elementi eterni e di frammenti appena affiorati in superficie e perciò pronti ad essere spazzati via dalla corrente che sembrano caratterizzare ai suoi occhi la vita in questa parte della Dixieland. Non a caso, questo popolare scrittore di noir e legal-thriller, nato in Germania, dove suo padre gestiva una clinica per i soldati americani, nel 1960 ma cresciuto a Natchez, la più antica città dello Stato, ha fatto del Mississippi e dei suoi segreti il cuore e l’anima di gran parte dei suoi romanzi, oltre una decina, tradotti in tutto il mondo e pubblicati nel nostro paese da Piemme.

Del resto, anche l’alter ego letterario di Iles, Penn Cage, l’ex avvocato e procuratore distrettuale destinato a diventare il sindaco bianco di questa cittadina abitata in maggioranza da neri, torna a Natchez dopo vent’anni di assenza e si rende subito conto che per fare pace con la propria coscienza, e con la sua stessa storia famigliare, dovrà cimentarsi non soltanto con i crimini del presente ma anche con la scomoda e a volte sconvolgente eredità del passato.

PER LUI, non si tratta infatti solo di far luce sui torbidi e inconfessabili segreti della provincia americana o scovare gli scheletri che inevitabilmente si celano dietro la facciata di rispettabilità che ogni famiglia esibisce all’esterno, ma di scavare in profondità nella memoria del paese. Perché sono questi luoghi in cui, come racconta tristemente anche la cronaca degli ultimi anni, il razzismo ha rappresentato a lungo un efficiente sistema sociale e un sottofondo culturale che ancora oggi si fa fatica a rimuovere del tutto, come evidenziato drammaticamente dall’ascesa di Donald Trump.

Con coraggio, incrociando le piste dell’indagine narrativa con quelle dell’inchiesta sociale e della ricerca storica, senza rinunciare al ritmo e alle atmosfere del noir, Iles ha perciò impegnato Penn Cage in una serie di casi che affondano le proprie radici proprio nella stagione più violenta e oscura vissuta da questa parte d’America tra la fine degli anni Cinquanta e il decennio successivo, quando, sulla scorta della lotta degli afroamericani guidata da Martin Luther King, qualcosa anche da queste parti è parso finalmente sul punto di mutare.

INAUGURATA lo scorso anno con L’affare Cage, che si apre proprio con una dedica «a tutte le vittime del movimento per i diritti civili in Mississippi e Louisiana», la trilogia con cui lo scrittore si misura apertamente con il razzismo e il fantasma del suprematismo bianco, prosegue con L’albero delle ossa (Piemme, pp. 908, euro 22,00), spostando l’attenzione dalla memoria del passato, e da vicende che vedevano coinvolto anche il padre del protagonista, stimato dottore della comunità, al riemergere dell’odio e delle discriminazioni nella fase attuale della vita pubblica del paese, tra le azioni di un gruppo che si rifà espressamente al famigerato Ku Klux Klan di un tempo e le coperture di cui i razzisti godono ancora oggi presso le forze dell’ordine e i responsabili locali della giustizia.

Greg Iles conduce con coraggio e determinazione il lettore nel cuore di tenebra del profondo Sud dove il presente sembra continuare ad assomigliare in maniera sinistra al passato. Quasi a fare eco ad altre celebri parole di Faulkner che sosteneva che da queste parti «il passato non muore mai; non è nemmeno davvero passato».