Cinquecentonovantanove morti sul lavoro nei primi sette mesi di quest’anno, sostiene l’Inail. Ma questo non fa notizia. Se poi il circo mediatico è tutto concentrato sui nomi dei prossimi ministri, sulle sparate reazionarie di Salvini. O sugli appetiti personali di Di Maio, figuriamoci se interessa qualcuno sapere che ad agosto, nonostante le chiusure, nei cantieri si è consumata una strage, con almeno 13 vittime.

Se si vuole veramente segnare una discontinuità rispetto al passato, si faccia allora della lotta al lavoro nero e agli infortuni uno dei punti programmatici del prossimo esecutivo, visto che il governo uscente ha fatto poco e male, provando solo a trasformare l’Inail in un bancomat.

Nel nostro paese, nonostante una crisi pesantissima, ci sono infatti -solo per stare ai settori della Fillea Cgil – ancora un milione di lavoratori, molti impiegati in cantieri che sembrano campi di battaglia.

Occorre allora ripartire da un codice degli appalti che tuteli lavoro, legalità e trasparenza, dopo lo “sblocca porcate” varato dal passato governo, che ha ridotto diritti e protezioni, aumentando il sub appalto e incentivando il massimo ribasso.

Occorre generalizzare la congruità come principale strumento di lotta al lavoro nero dando attuazione all’articolo 105 del codice degli appalti e subordinando tutti gli incentivi privati, dall’eco bonus alle agevolazioni per l’antisismico, al possesso del Durc per congruità.

Occorre ripristinare il Dol per cantiere, riportandone la validità a tre mesi ed introdurre il reato di omicidio sul lavoro, equiparandolo a quello dell’omicidio stradale, per dare un segnale di tolleranza zero verso chiunque risparmi su salute e sicurezza.

Occorre lasciare perdere una cifra per il salario minimo legale e dare invece attuazione piena all’articolo 39 della Costituzione per garantire si trattamenti economici complessivi minimi per tutti e contrastare i troppi contratti di lavoro in dumping. Quel dumping per cui in un cantiere c’è di tutto, dalle false Partite Iva a lavoratori assunti con il contratto pulizie, del lavoro agricolo, dei metalmeccanici. Tutti contratti che non solo costano meno, ma che non prevedono quella formazione e quelle tutele contro gli infortuni che invece ha il contratto edile e il suo sistema bilaterale.

Occorre infine permettere agli operai edili sopra i 60 anni di poter andare in pensione, di vedersi riconosciuta concretamente la gravosità del loro mestiere, di scendere dalle impalcature dove rischiano tutti i giorni di farsi male.

Questi sarebbero punti qualificanti di un programma per tornare ad occuparsi concretamente dei lavoratori.

Al Presidente incaricato e alle forze politiche della nuova maggioranza spetta ora, dopo 14 mesi all’insegna dell’intolleranza, dello svilimento del lavoro, di un’assenza totale di politiche industriali, di una campagna elettorale permanente, dimostrare che si vuole veramente invertire una rotta a favore del lavoro.

Per questo siamo scesi in piazza come edili il 15 marzo, all’interno di una più generale mobilitazione di Cgil, Cisl e Uil e per questo – se non otterremo risposte – continueremo la protesta.

* Alessandro Genovesi è Segretario generale Fillea Cgil