«La nozione di giustizia non include forse in se stessa la dimensione sociale del vivere umano»? È questa la domanda cruciale, ispirata a due grandi figure del passato e declinata al presente come un «dilemma ancora irrisolto», che nutre e attraversa il libro di Teresa Forcades Per amore della giustizia Dorothy Day e Simone Weil (Castelvecchi, nel cui catalogo compariranno a breve altri titoli della stessa autrice, pp. 144, € 17,50). Un incontro inedito, perché Day, attivista statunitense«dal cuore di eremita» e Weil, filosofa francese «con il cuore da operaia» non si conobbero mai; e una giustapposizione puntuale, perché – pur nelle significative differenze – «entrambe le loro vite furono caratterizzate da una combinazione di impegno politico ed esperienza mistica».

Convivenza di vocazioni che appartiene alla stessa Forcades, suora benedettina impegnata su più fronti dell’impegno sociale, e che rende questo testo un campo biografico-dialettico particolarmente ospitale e animato. Attraverso gli occhi di Dorothy Day e Simone Weil l’autrice presentifica al lettore gli scenari e lo sconcerto di un secolo: immani ecatombi, alcuni fondamentali traguardi sociali, la speranza. L’affresco non resta lontano. «Con tatto», l’attenzione si posa sulle ore e sulle stagioni, sui respiri distesi e sugli spasmi, sui fallimenti e sulle invenzioni creative di «due donne eccezionali, accomunate dall’amore per una giustizia che non occorreva chiamare sociale, poiché era sottinteso che lo fosse».

Le vediamo misurarsi, secondo scelte esistenziali e stili di pietas diversi, con il trauma storico della sopraffazione: identificandosi con le aspirazioni dei movimenti operai; sperimentando in prima persona l’organizzazione alienante del lavoro; istituendo «realtà locali» di accoglienza per poveri e sventurati; rivendicando il «valore spirituale» delle opere manuali; denunciando le taglienti incongruità tra la parola di Gesù e le derive dell’istituzione ecclesiastica; disobbedendo alle logiche patriarcali dominanti e alle ortodossie di partito; patendo i paradossi del desiderio di pace in un mondo assoggettato alla guerra.

E affermando la necessità di una «maturazione umana del soggetto rivoluzionario», che non si acquisisce, avverte Forcades, «soltanto per via introspettiva», bensì creando anche materialmente le condizioni sociali affinché «le persone possano vivere libere dall’oppressione. Possano, questa è la parola chiave. La libertà non può essere instaurata strutturalmente, è dinamica, deve rinnovarsi ogni momento».

Ma come s’invera, nei giorni umani, una tale libertà? Forcades svincola la questione da ogni tentazione dogmatica riconducendola alle opere di Day e Weil, alla loro testimonianza incarnata. Ne ripercorre il decentramento egoico, l’azione caritatevole, la resa all’attenzione come alla «forma più rara e pura della generosità». Affiora, così, la qualità mistico-politica di una narrazione che raccorda due vite femminili nella penna di una terza: «co-creazione» e dono «per amore della giustizia».