IInvestigare «un olocausto» attraverso la macchina fotografica. Con il termine Terra dei fuochi viene individuata un’area di 1.076 chilometri quadrati tra la provincia di Napoli e il casertano: zona fertilissima grazie alle acque superficiali e il substrato vulcanico, a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila è stata devastata dalle discariche abusive di rifiuti grazie a un patto tra camorra e sistema economico del Settentrione.

NONOSTANTE LE RIVOLTE della popolazione e le inchieste della magistratura il fenomeno prosegue tuttora – anche se in forme differenti – e, anzi, si è espanso in altre aree del paese. Il fotografo romano Massimo Berruti, dopo aver dedicato lavori all’Asia centrale e alla Palestina, presenta al festival della Fotografia Etica di Lodi (da domani al 27 ottobre) Epidemic, ventiquattro scatti sulla Terra dei fuochi. «Mi hanno colpito le dichiarazioni dell’ex capo della camorra Carmine Schiavone, incluse nel rapporto della Commissione parlamentare d’inchiesta della scorsa legislatura – spiega Berruti -. Schiavone aveva rivelato già nel 1997 i comportamenti criminali ma le sue parole sono rimaste secretate per sedici anni. Gli atti rivelano il coinvolgimento di personaggi tuttora inseriti negli alti ranghi dello stato. Schiavone dichiarò che questa terra avrebbe presto iniziato a fronteggiare un evento simile all’olocausto in cui ’tutti moriranno di cancro’ quando le sostanze tossiche inizieranno a infiltrarsi massicciamente nelle falde acquifere della Campania. Tesi confermata da epidemiologi e geologi. I più piccoli, in particolare, sono i più esposti ai contaminanti. Ho deciso allora di voler prendere parte nel dibattito».

LE FOTOGRAFIE mostrano come lo smaltimento illegale ha stravolto la quotidianità delle popolazioni. I roghi di immondizia, i funerali, le manifestazioni di protesta e Flavia, una ragazzina di Boscoreale a cui hanno diagnosticato un tumore a 9 anni: «Ho conosciuto alcune famiglie che mi hanno ’adottato’ – racconta Berruti -. Non mi interessa immortalare l’evento ma osservare i luoghi e le persone entrando nel flusso della loro quotidianità. Restavo una settimana, tornavo a Roma e poi andavo ancora da loro. Sono stato accolto da una delle ’mamme vulcaniche’, le donne dei paesi alle falde del Vesuvio che si battono per le bonifiche. E dalla famiglia di Flavia che, come la zia, ha dovuto fare i conti con il cancro: col tempo si sono aperti, mi hanno raccontato la loro lotta, quindi hanno accettato di entrare nella mia narrazione».
Poi ci sono gli scatti dedicati al campo rom di Giugliano, con i bambini che giocano su una discarica illegale mai messa in sicurezza: «Le immagini mostrano l’irresponsabilità delle autorità italiane e i sorrisi dei ragazzi, bellezza e incoscienza – racconta ancora Berruti -. Il gruppo di famiglie rom è stato spostato a 300 metri rispetto a dove si trovavano, è stato creato un campo ’legale’ sopra uno sversatoio abusivo con i bimbi che correvano in mezzo al biogas che saliva da terra rendendo l’aria irrespirabile. Li hanno sgomberati di nuovo anche da lì, dopo proteste e interrogazioni parlamentari. Eppure era evidente che in quel luogo non si potesse realizzare un insediamento abitativo».

GLI SCATTI SONO in bianco e nero, non c’è la grammatica del fotogiornalismo ma un’atmosfera sospesa e inquieta: «Il colore mi crea imbarazzo perché è un forte suggeritore di emozioni, portando così l’immagine fuori dal fatto in sé, espandendolo o mitigandolo. Il bianco e nero invece mi fa superare la barriera della temporalità, così posso ricercare una risposta a fenomeni storici che hanno una portata più ampia, che producono effetti nel tempo. Nella narrazione lascio spazio all’imponderabile ma poi ci ritorno per cercare il sentimento più genuino. È un percorso tra la mia percezione e la cronaca dei fatti, è il modo in cui sento quello che osservo cercando di non squilibrarne la narrazione».
Nel bagaglio di Massimo Berruti c’è lo studio della biologia: «Mi aiuta a fare le domande giuste, mi dà gli strumenti per sapere quanto siano insidiosi fenomeni come l’inquinamento, contribuisce al modo in cui oriento la macchina fotografica. Negli Usa ho lavorato con una comunità diventata ipersensibile all’elettromagnetismo a causa della continua esposizione. Nella Terra dei fuochi hanno sversato rifiuti illeciti per decenni: nell’immediato non succede nulla ma l’organismo comincia ad accumulare, quando il fenomeno esplode è tardi. Alcuni scienziati ritengono che questo territorio potrebbe spopolarsi del tutto. Per me resta un capitolo aperto».