Due libri diversissimi, ma imperdibili per chi vuole conoscere culture, musiche e lotte di mezzo secolo in Italia e negli Stati Uniti. Stiamo parlando de La nave dei folli. Vita e canti di Ivan Della Mea (2019, Agenzia X, pp. 374, 16 euro) di Alessio Lega e di We Shall not Be Moved. Voci e musiche dagli Stati Uniti 1969-2018 (2019, Squilibri, pp. 339 + 4 cd, 39 euro) di Alessandro Portelli.


L’arco temporale del primo arriva fino alla scomparsa di Della Mea, giugno 2009, il secondo termina ai giorni nostri partendo dal 1969. Entrambi però affondano le loro radici nella nascita dei movimenti proletari di fine ’800. Alessandro Portelli – che tutti conosciamo come uno dei più attenti studiosi della cultura e della società Usa – intesse un patchwork attraverso canzoni e registrazioni dal vivo e ci racconta in maniera entusiasmante e rigorosa la loro storia e quel filo rosso che lega oltre un secolo di lotte e controcultura statunitense che nemmeno la repressione prima e il maccartismo poi sono riusciti a eliminare.

ESISTENZA TRIBOLATA
Alessio Lega – cantastorie e scrittore – ci regala un racconto fluentissimo dove la vita di Ivan Della Mea intreccia la ricerca di intellettuali, scrittori e cantanti. Con una narrazione avvincente, il libro riesce a contestualizzare in maniera perfetta la vita di Della Mea, tra la sua tribolata esistenza e la sua creatività, e così nel libro incrociamo i fondatori dei Dischi del Sole, delle Edizioni Avanti! e dell’Istituto De Martino, e tutti i musicisti e intellettuali che in qualche maniera vi collaborarono. In una veloce e non completa carrellata, ricordiamo: Gianni Bosio, Roberto Leydi, Michele Straniero, Sergio Liberovici, Giovanni Pirelli, Sandra Mantovani, Giovanna Daffini, Giovanna Marini, Cesare Bermani, Mario De Micheli… e poi ancora Luciano Della Mea, Elio Vittorini, Italo Calvino, Giangiacomo Feltrinelli, Luciano Bianciardi, Jannacci, Fo, Paolo Ciarchi (a cui è dedicato un capitolo intero, scritto prima della sua recente scomparsa), il Canzoniere popolare italiano e i successivi molti canzonieri regionali (del Lazio, del Veneto, Grecanico salentino, etc.). Una fucina di ricerche, pubblicazioni, incisioni. Molti intrecci uniscono i libri di Portelli e Lega, ma almeno due fili che li accomunano meritano di essere segnalati. Innanzitutto le celebri registrazioni di Alan Lomax, etnomusicologo, antropologo e produttore discografico statunitense, che spaziò la sua ricerca dai canti degli Industrial Workers of the World a Woody Guthrie alle musiche popolari italiane, e i Dischi del Sole, con cui Portelli pubblica nel 1969 L’America della contestazione (ora parte del quarto cd di questa raccolta allegata al libro).
Estrapoliamo alcuni passaggi emozionanti dei due libri, un piccolo anticipo della consigliata lettura dei volumi. Ne La nave dei folli c’è il ricordo del concerto del Nuovo Canzoniere Italiano al Festival dei due mondi di Spoleto, nel 1964: «…i primi brani corrono via lisci, anche se più ancora delle parole sono quelle voci così diverse a far fremere il pubblico benestante… L’innesco della bomba avviene quando la già problematica Gorizia è cantata – per un improvviso abbassamento di voce della Mantovani – da Michele Straniero che intona una strofa non prevista dal copione: traditori signori ufficiali/voi la guerra l’avete voluta/scannatori di carne venduta/ e rovina della gioventù. Ci sono ufficiali a Spoleto, uno di loro è presente quel pomeriggio: ’Viva gli ufficiali’, grida indignato. A questo punto tutti si sentono autorizzati a dire la propria: ’Fuori i fascisti’, ’Basta’, ’Buffoni’… ’Questa è storia, signora’, dice Bosio. ’Posseggo trecentotrenta contadini e nessuno dorme nelle stalle. Non ho pagato il biglietto per sentir cantare sul palco la mia donna di servizio’, disse una spettatrice alla Daffini che si mosse alla volta della signora che l’aveva pronunciata con l’intenzione di sfasciarle la chitarra in testa».
IL FUNERALE
O il ricordo del funerale di Giovanni Pirelli, nel 1973: «Era il 3 di aprile. Il funerale si mosse dalla sede Anpi di Sampierdarena, dal corteo una voce di basso intonò L’Internazionale, era la voce del prete poeta Padre David Maria Turoldo, gli altri si unirono…». O ancora, nel 1966, quando Bruno Pianta, in previsione di un possibile concerto di Bob Dylan in Italia, dice a Ivan: «…se canti con Dylan rischi di doverti confrontare con una marea di gente venuta solo per lui e che di te se ne frega». Ivan taglia corto: «Io il Bob Dylan me lo mangio in insalata!».
IL CAPPOTTO
Ma anche il divertente racconto del bellissimo cappotto di Papa Hemingway a cui a furia di esagerare con i daiquiri stava ormai un po’ stretto e «l’aveva regalato al suo amico e traduttore Elio (Vittorini), che però era alto il doppio, dunque questi lo aveva girato a Luciano Dalla Mea e Luciano a sua volta al fratello Ivan, Ivan era rientrato al convitto pavoneggiandosi nel cappotto appartenuto a cotali ingegni, e il custode lo aveva apostrofato: ’caspita che bel cappotto, con il freddo che fa mi farebbe proprio comodo’ detto fatto Ivan se lo sfila e glielo porge. Il giorno dopo però con orrore aveva potuto constatare che il custode, per spazzare comodamente il cortile, aveva operato alla brutto-dio con la forbice, riducendo il lussuoso capo da abbigliamento in un gilet da straccioni».

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In We Shall not Be Moved il retroterra storico e culturale di canzoni, autori e interpreti viene raccontato da Portelli in maniera minuziosa provocando l’ascolto e il riascolto dei gioielli musicali contenuti nei quattro cd. Un esempio che ben dimostra la rete di relazioni storiche: nella presentazione di The Preacher and the Slave, una delle più celebri canzoni del mitico sindacalista rivoluzionario e compositore Joe Hill, che nel 1915 fu condannato a morte per un delitto che non aveva commesso, dopo aver ricordato che i militanti dell’IWW (Industrial Workers of the World, ndr) si portavano in tasca due cose: la tessera, che li fa conoscere come compagni, e il canzoniere rosso The Little Red Songbook «il cui fine dichiarato in copertina era di ‘fan the flames’, alimentare le fiamme della rivolta», Portelli scrive: «Alla vigilia dell’esecuzione, Joe Hill aveva scritto in carcere, in versi, le sue ultime volontà, ’Il mio testamento è facile da decidere perché non c’è niente da dividere; i miei eredi non avranno da piangere e litigare perché il muschio non si attacca a una pietra che rotola (sì: moss does not cling to a rolling stone). Il mio corpo? …lo ridurrei in cenere e lo farei portare dal vento là dove crescono i fiori… forse allora un fiore potrebbe fiorire di nuovo…’. Da lì parte una lunga tradizione che arriva fino a noi’. Ho sognato di vedere Joe Hill stanotte, vivo come me e te’, dice una celebre canzone scritta negli anni ’30 da Earl Robinson, cantata dal grande cantore nero comunista Paul Robeson e, mezzo secolo dopo, da Joan Baez, ’Gli dissi, Joe, ma sei morto da dieci anni; non sono mai morto, mi rispose. Dovunque gli operai si organizzano, dovunque gli uomini lottano per i loro diritti, è lì che troverai Joe Hill’. Un paio di anni dopo, John Steinbeck mise parole simili, ispirate a questa canzone, in bocca a Tom Joad, protagonista di Furore. Attraverso il romanzo, il film di Henry Fonda che ne fu tratto, e la ballata in cui lo traduce Woody Guthrie, queste parole arrivano fino a Bruce Springsteen e a The Ghost of Tom Joad.

INTERVISTA A ALESSIO LEGA

Gli echi di Ivan Della Mea, delle sue opere, cantate e scritte, risuonano in questi giorni in Toscana con l’Istituto Ernesto De Martino (Villa San Lorenzo al Prato, Via Scardassieri 47, Sesto Fiorentino, Fi, www.iedm.it) che ha dedicato due giorni di omaggi all’artista, scomparso a Milano il 14 giugno 2009. Ecco allora che nell’ambito di «Ancora Ivan: dieci anni dopo», si tiene domani alle 18 «Io so che un giorno. Le canzoni di Ivan Della Mea», concerto a cui partecipano, tra i tanti, Rudi Assuntino, Francesca Baccolini, ’E zezi gruppo operaio, Gang (Marino e Sandro Severini), Moni Ovadia e Alessio Lega, autore del libro La nave dei folli, presentato ieri al de Martino. Nella sede dell’istituto anche una mostra dedicata a Ivan con manifesti, documenti d’archivio, cd, lp. Abbiamo intervistato Alessio Lega.
Quale eredità ci ha lasciato l’esperienza dei Dischi del Sole, delle edizioni Avanti! del Nuovo Canzoniere Italiano, tutto il lavoro di recupero e valorizzazione fatto da Gianni Bosio, Roberto Leydi e compagni?
Ci lasciano due cose apparentemente antitetiche. Una grande messe di canzoni e tutto ciò che possiamo chiamare «letteratura orale», dove troviamo il racconto puntuale del nostro essere stati contadini, sfruttati, emigranti che seppero sognare un mondo migliore, proprio mentre tentavano di costruirlo. Tutto ciò oggi è conservato nei musei della cultura contadina e insegnato dalle cattedre di antropologia ed etnomusicologia. Ma ci resta anche un’idea più sottile e più importante: che la ricerca non è mai disgiunta dalla condivisione, che queste canzoni sono figlie dell’urgenza: Gorizia tu sei maledetta è ancora un urlo contro la guerra, ancora i canti d’emigrazione devono farci vergognare di essere diventati razzisti. Cantare vuol dire «creare e vivere» un mondo nuovo, non fare cultura per uno vecchio.
A parte l’importante continuità data a quell’esperienza dall’Istituto de Martino e dal Circolo Gianni Bosio, ci sono altre realtà istituzionali o meno, universitarie o di base, che lavorano su quel sentiero di ricerca?
Ce ne sono – penso a editori come Nota o Squilibri che provano a sopravvivere – ma ci sono soprattutto corali e militanti che usano questi materiali per le loro lotte nel presente.
È significativo che una casa editrice come Agenzia X – caratterizzata dall’attenzione verso le controculture – pubblichi «La nave dei folli», evidenziando così quel filo rosso che lega musica e cultura popolare alle culture alternative. Ma Ivan Della Mea non è stato solo un interprete dei classici della canzone politica, ma anche un autore molto creativo e originale. Quali sono le sue caratteristiche e cosa consiglieresti di ascoltare a un ragazzo che volesse accostarsi alla sua musica?
Beh, innanzi tutto cercarsi sul web il brano fluviale che dà il titolo al libro: una vera canzone-trip, poi certi bozzetti urbani del primo periodo (El me gatt) accostabili a certa poesia delle nuove periferie, e infine il capolavoro della maturità, il disco Sudadio Giudabestia, il più musicalmente raffinato, un vero concept album che sta fra Storia di un impiegato di De André e Rock Bottom di Wyatt.
E per accostarsi ai suoi romanzi e saggi?
Il suo noir più bello e più cupo è Sveglia sul buio, il punto di contatto fra Scerbanenco e ciò che è venuto dopo, le sue scritture più sperimentali sono quelle autobiografiche, come il terribile Se la vita ti dà uno schiaffo, uscito pochi giorni prima della sua morte.
Il libro è frutto di tanta documentazione su Della Mea ma è anche di un atto di amicizia.
Io direi che questa è una storia bellissima, a volte cupa, a volte persino un po’ pettegola – queste donne e uomini non erano dei santi: si innamoravano e si lasciavano con una certa leggerezza. Ma racconta un percorso dall’individualismo bohémien dei primi anni, alla frenetica attività rivoluzionaria e di testimonianza degli anni Sessanta e Settanta… a me piacerebbe fosse letta anche da chi non è interessato alla canzone politica o d’autore, come la storia di un artista e agitatore esemplare, innalzatosi dalla strada alla gloria per mettersi al servizio di un’idea: il nostro Woody Guthrie.
Recentemente è scomparso Paolo Ciarchi a cui nel libro dedichi un capitolo, puoi ricordare la sua originalità anche qui?
Paolo è morto il giorno stesso dell’uscita di questo libro, di cui era stato il principale ispiratore: Ivan l’ho frequentato, ma Ciarchi (il suo musicista) era la mia «famiglia adottiva» milanese. Per fortuna sono riuscito a chiudere il cerchio consegnandogli la prima copia qualche giorno prima della tragedia. È un lutto che non ho ancora elaborato, talvolta mi fermo in strada con un groppo in gola. Se di Ivan ci restano le canzoni, è molto più difficile raccontare quella fisica genialità sonora. Davvero mi dispiace per chi non lo ha visto. (Marc Tibaldi)

Ivan Della Mea con Paolo Ciarchi, Teatro Girolamo, Milano 1990. Foto  Riccardo Schwamenthal / CTSimages – Phocus

 

INTERVISTA A ALESSANDRO PORTELLI

Un’intervista a Alessandro Portelli, autore del libro We Shall not Be Moved. Voci e musiche dagli Stati Uniti (1969-2018). Nel testo è anche presente un efficace corredo iconografico.
Nell’introduzione al volume sostieni che «il testo che accompagna i cd ripercorre soprattutto il rapporto più con le persone che con i suoni, ed esplora retroterra e ramificazioni».
Questo lavoro è un viaggio attraverso la musica popolare americana, dal gospel al blues, alla ballata narrativa fino alla canzone politica di protesta, attraverso la cultura delle tradizioni orali e dei movimenti popolari scaturiti nell’ultimo mezzo secolo.
Esiste nella musica popolare Usa un filo rosso che dia consapevole continuità alla tradizione dei folksinger, dalla fine dell’Ottocento ai giorni nostri?
Per fare un esempio, non c’è dubbio che una canzone come We Shall not Be Moved attraversi tutta la tradizione gospel e la tradizione del canto politico dal 1930 a oggi, e questo mi sembra un segno di consapevolezza e di continuità. Oppure gli slogan scanditi dai ragazzi che l’anno scorso hanno partecipato alla marcia contro le armi erano consapevolmente costruiti sugli slogan dei movimenti contro la guerra in Vietnam. Quando nel 2011 nacque il movimento Occupy Wall Street – che sotterraneamente diede vita alla campagna per Bernie Sanders – in piazza si cantava We Shall Overcome, una delle canzoni insegnate da Pete Seeger, oppure Which Side Are You on?, altra canzone che nasce dalle lotte operaie degli anni ’30 e attraverso Pete Seeger arriva fino a giovani di questo movimento. Fu cantata anche da Billy Bragg durante gli scioperi dei minatori inglesi degli anni ’80 e la versione nella raccolta Occupy this Album è stata incisa da Ani DiFranco. Insomma, tracce di continuità ci sono, sono fili molto sottili e si tratta anche di lavorarli per tenerli in funzione. Il mondo dei movimenti popolari non è privo di memoria.
Il contesto delle lotte è molto importante nei testi, ma anche nelle registrazioni…
Una delle caratteristiche della trasmissione delle canzoni che hanno continuità nei movimenti è che sono adattabili e trasformabili nel testo, contestualizzandolo nella lotta che si sta portando avanti. Una specie di matrice che gli attivisti trasformano senza snaturarne il senso. La canzone popolare non è tale perché si trasmette in modo rigido ma perché da luogo a luogo, da tempo a tempo, da persona a persona, viene riadattata e ricreata, ed è questo che la fa vivere. Credo che nei cd il contesto e il paesaggio sonoro siano importanti quanto le registrazioni, che – appunto – non sono in studio ma fatte dal vivo, anche se ho cercato di riprodurle nel modo migliore a livello di qualità del suono. Per esempio nella canzone sull’occupazione di Blair Mountain, in Virginia, mantengo sullo sfondo il suono degli elicotteri della polizia mentre il musicista canta. Quello che mi pare importante è sì la bellezza del pezzo, ma anche che questa bellezza stia in un contesto e non sia musealizzata.
La pubblicazione è edita da Squilibri con la collaborazione del Circolo Gianni Bosio, ci presenti questa realtà?
Il Circolo Gianni Bosio lo abbiamo fondato nei primi anni ’70, ma in qualche modo la storia di cui fa parte comincia proprio con le registrazioni della contestazione americana degli anni ’60. Cinquant’anni in cui abbiamo lavorato sulla conoscenza critica delle forme espressive del mondo popolare e delle classi non egemoni. Da un lato le musiche popolari, dall’altro le fonti orali, proprio per affermare la soggettività storica di un mondo popolare variegato, indefinito ma molto presente nella storia, soprattutto attraverso forme espressive orali.
Quali progetti state portando avanti?
Molti, ma in questo momento forse le cose più importanti sono due: il lavoro di ricerca, pubblicazione e diffusione sulle musiche dei migranti in Italia e il Calendario civile. Abbiamo lavorato sulla musica dei curdi, dei rumeni, del Bangladesh, costituendo un grande archivio e pubblicando una serie di cd. Il progetto di Calendario civile vuole consegnare alla memoria le date fondamentali della storia democratica, dal Primo maggio ai giorni di Genova, da Piazza Fontana all’Otto marzo, ecc. Anche per questo progetto abbiamo pubblicato un libro e – ogni anno – un calendario da muro. La prossima edizione sarà dedicata alle lotte delle donne. L’idea è quella di ricostruire una ritualità laica che possa aiutarci non solo a far vivere la memoria ma anche a costruire una base di aggregazione e di socialità alternativa. (Marc Tibaldi)

Un murale su ponte stradale, Chicago, Illinois, 2013 (foto di Giovanni e Vilma Grilli), dal libro «We Shall not Be Moved»