Mi piace il mito, il grande racconto epico, forse è una cosa che aiuta a difendersi dal tempo che passa. Il mito è il racconto meraviglioso che rinnova la creazione del mondo e lo sottrae al tempo profano che tutto divora, che ci invecchia e ci uccide. Ho provato a usare il canto epico per narrare mitologie di guidatori di camion, di aggiusta-ossa, di barbieri e di suonatori, di rivenditori di bombole del gas, di cantanti a tenore che vegliano su sale veglioni vuote».

 

 

Sono parole del cantautore Vinicio Capossela che ha aggiunto, nel suo ultimo libro, un interrogativo: «Da dove venite? A chi appartenete? Cosa andate cercando?». Così, quando sale sul palco dello Sponz Fest allestito nella stazione ferroviaria (sospesa) di Conza in Alta Irpinia, è sempre nel segno del mito che inizia: «Sono figlio del kuta kuta, sono nato nel segno dei pacchi pacchi» alludendo ai toponimi usati nel mondo contadino che fu. Ed è subito un lungo applauso ad accogliere il cantautore che celebra qui i suoi 25 anni di nozze con la musica. Sono migliaia i fan accorsi da tutta Italia in questo luogo sfidando anche la disfunzione organizzativa per assistere ad un concerto di più di sei ore e mezza.

 

 

E forse a Capossela si perdona anche questo sfasamento organizzativo perché nessuno, come lui, ha saputo trasfigurare nel mito i personaggi e i paesaggi di un territorio da cui trae linfa per le sue canzoni. Il concerto del 29 agosto è stato il clou di una manifestazione lunga sette giorni che ha attraversato sentieri di campagna e paesi (Calitri, Cairano, Andretta, Conza, Aquilonia). «Raglio di luna. Le vie dei muli, i sentieri dei miti»: questo il titolo della terza edizione dello Sponz Fest che si è conclusa domenica 30 agosto sulla rupe di Cairano con una bella serata di musica e letture introdotta da una discussione telefonica a distanza tra Vinicio Capossela e Piergiorgio Odifreddi su scienza e superstizioni. La spina dorsale del lungo cammino dei sette giorni è stato il libro del cantautore Il paese dei coppoloni, dove racconta l’epico viaggio per questi luoghi di antichi e nuovi don chisciotte alla ricerca di un senso alla propria esistenza.

 

 

Un viaggio che si è materializzato anche nella costruzione di una straordinaria “trebbiatrice volante”, opera dell’artista Marco Dum Dum che resterà per i visitatori sulla rupe alta di Cairano, a guardia dei sogni di un territorio espropriato finora di molti servizi a partire dalla sospensione della linea Avellino-Rocchetta divenuta, grazie all’impegno di Capossela, luogo simbolo di un possibile riscatto. E infatti, introducendo uno degli ospiti del suo concerto, il cantautore statunitense Howe Gelb, dice: «Quando si parla di Arizona e treni non c’è nulla di meglio che Gelb.

 

 

Ed è di nuovo qui, in questa bellissima stazione ferroviaria sospesa che speriamo venga riaperta al più presto». Sul palco vengono introdotti i vari ospiti di una carovana fracassona e geniale di un universo da circo capace di risvegliare i miti di un racconto fantastico ma spesso struggente di malinconia: la Banda della Posta, i macedoni del King Neat Veliov &The Real Kocani Orkestar, i messicani/spagnoli del Mariachi Mezcal, la Banda giovanile di Calitri, i texani di Los TexManiacs, i greci cretesi guidati dallo sciamano Psarantonis e i suoi collaboratori Asso Stefana e Zeno de Rossi.

 

 

Si avvicina l’alba e non si vorrebbe finire, ma bisogna preparare la giornata finale con la carovana di nuovo in cammino verso il «paese dei coppoloni» lì di fronte, quel Cairano che non avrebbe mai immaginato di finire cantato e desiderato da tanti come un luogo simbolico in cui è possibile ritrovare il filo smarrito di una storia che sembra pericolosamente bloccata ovunque e che l’arte e la musica possono risvegliare. E non è un caso che la lotta contro le trivelle petrolifere che minacciano questo territorio è ripresa in concomitanza col festival in un happening nell’oasi di Conza che ha visto la partecipazione di tanti.