Usciva nell’agosto di trent’anni fa The Emperor’s Naked Army Marches On, probabilmente quello che oggi è il documentario giapponese più conosciuto ed apprezzato a livello internazionale e che per celebrare questo anniversario è proprio in questi giorni di nuovo in alcuni cinema della capitale. The Emperor’s Naked Army Marches On origina da un’idea di Shohei Imamura agli inizi degli anni ottanta, come conseguenza dell’interesse del regista che durante la seconda metà degli anni settanta data la crisi di un certo modo di fare cinema si dedica ad una serie di documentari per la televisione incentrati sul lascito dell’occupazione giapponese nel resto dell’Asia nella prima metà del secolo scorso.

Dopo le sue peregrinazioni per il sud est asiatico Imamura si imbatte in Giappone in Kenzo Okuzaki. Il sessantaduenne veterano della campagna in Nuova Guinea durante la Seconda Guerra Mondiale era (è morto nel 2005, dopo un altro periodo in prigione) un personaggio unico e fuori da qualsiasi schema, trascorse 10 anni in prigione per un omicidio negli anni 50, e nel 1969 lanciò delle biglie d’acciaio contro l’imperatore Hirohito colpevole di aver portato al massacro un’intera generazione. Okuzaki chiede insistentemente a Imamura di fare un film su di lui, il regista però affida il progetto a Kazuo Hara, già regista di potenti e controversi lavori di non-fiction durante gli anni settanta e cameraman di Imamura. Hara filma Okuzaki dal 1982 al 1987 nella sua ricerca di ex-ufficiali giapponesi rei di aver commesso atrocità verso la popolazione locale e di aver lasciato morire i giovani soldati giapponesi. Qui è importante notare che benché il film sia spesso catalogato come cinema verité o direct cinema, un approccio che si limita a registrare ciò che accade davanti alla macchina da presa, in realtà il fatto di avere qualcuno che lo filma dà a Okuzaki motivazioni speciali per comportarsi in quel modo.

Adirittura il veterano chiese ad Hara ad un certo punto di filmare l’omicidio di uno dei suoi vecchi sergenti e solo dopo una discussione con sua moglie-produttrice, questi rifiutò! Una delle scene più famose del film e che rende bene il senso di caotica instabilità di Okuzaki e la complessità di Hara stesso è quella in cui l’uomo attacca a calci e pugni il suo vecchio superiore ormai malato con il regista che non interviene ma che si limita a filmare.

Proprio questo violento attacco darà il via ad un altro incontro in cui l’ex-ufficiale alla presenza di Hara, farà l’ammissione shock ammettendo che nelle fasi terminali della guerra ci furono atti di cannibalismo sia verso le popolazioni indigene che verso alcuni giovani soldati giapponesi. In realtà, come dichiarato spesso da Hara in varie occasioni, Okuzaki aveva già avuto la rivelazione dal vecchio capitano un giorno prima, ma deciso a far filmare il tutto aveva messo in scena un incontro dove la confessione degli atroci atti di cannibalismo potesse essere filmata come fosse spontanea. Il documentario non solo quindi rivela la follia della guerra e le atrocità compiute da parte Giapponese, ma anche la follia di Okuzaki stesso, che di quel periodo ne è un prodotto.

Il film inoltre è anche interessante perché ad un’analisi più approfondita complica e porta alla luce tutte le contraddizioni che l’arte documentaria reca con sé, il dubbio che quanto sia rappresentato non sia sempre spontaneo, l’impossibilità di una rappresentazione della verità fattuale, la videocamera come catalizzatore e non come fly on the wall ed il limite (morale) oltre il quale il regista debba o no spingersi.

matteo.boscarol@gmail.com