«Anche solo guardandola riesci ad emendarti dei tuoi peggiori difetti». Così il critico John Ruskin descrisse Elizabeth Siddal, futura moglie di Dante Gabriel Rossetti e modella per numerosi dipinti dei Preraffaelliti, tra cui la celebre Ophelia di John Everett Millais. Quest’opera, per la quale la donna, ancora diciannovenne, posò ore e ore immersa in una vasca d’acqua ghiacciata, procurandosi quei problemi di salute che l’affliggeranno per tutta la vita, sembrò infatti prefigurarne il destino tragico. Come il personaggio Shakespeariano, ancora giovane, a soli 33 anni, Siddal morirà avvelenandosi con il laudano.

L’Ophelia, insieme ad altri settanta capolavori, è al centro della mostra sui Preraffaelliti, l’utopia della bellezza, allestita a Torino all’interno di Palazzo Chiablese (visitabile fino al 13 luglio). Le opere, provenienti dalla Tate Britain di Londra, toccano i vari esponenti del movimento e ne esplorano ogni declinazione tematica in un percorso articolato in sette sezioni, curato da Alison Smith e da Luca Beatrice.

A fondare la Confraternita dei Preraffaelliti furono nel 1848, nei primi anni di regno della regina Vittoria, Hunt, Millais e Rossetti, tre giovani allievi della Royal Accademy, decisi a dar vita a una nuova forma di pittura. La Confraternita elesse a proprio modello il primo Rinascimento, poiché non ancora corrotto dall’eccesso di idealizzazione di Raffaello, che avrebbe tolto spontaneità e naturalezza alla pittura, portandola nel vicolo cieco dell’accademismo. Dopo le iniziali stroncature, fu il critico John Ruskin a decretare il successo del movimento nel 1851, scrivendo due elegie e un saggio intitolato Preraphaelitism.

Se tanta parte ebbero per i Preraffaelliti i temi sociali, patriottici e la pittura di paesaggio, tuttavia essi colpiscono oggi soprattutto per il loro ideale di bellezza femminile.

Calate nelle vesti di eroine bibliche, Shakespeariane e medievali, le donne dei Preraffaelliti sono figure complesse e ricche di contraddizioni. Sebbene idealizzate come creature salvifiche, alla stregua della Beatrice di Dante, che, non a caso, è fonte d’ispirazione per molti dipinti del movimento, hanno al tempo stesso un forte potere sensuale e una bellezza incantatoria dai risvolti misteriosi e inquietanti. È la manifestazione pittorica dell’atteggiamento contrastante del Decadentismo verso il femminile.

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Questa ambivalenza si rintraccia, d’altronde, anche al di fuori dell’arte, nella vicenda biografica dei pittori del movimento e in quella delle donne, che ne furono modelle, muse ispiratrici e amanti. La più celebre è sicuramente la già citata Elizabeth Siddal, scoperta dal pittore Deverell in una sartoria e da lui ritratta come Viola ne La dodicesima notte. Introdotta nel circolo dei Preraffaelliti, divenne la modella prediletta di molti artisti del gruppo, rappresentandone a pieno l’ideale femminile per l’aspetto esile ed etereo e i lunghi capelli rossi. Nonostante le umili origini, Siddal, fu essa stessa poetessa e pittrice. Rossetti, personalità di spicco del movimento, ne diventò presto amante e maestro: Elizabeth imparò da lui a dipingere e più tardi lo stesso Ruskin ne diverrà mecenate. Rossetti, dapprima sposato con un’altra, si fidanzò infine con Elizabeth, continuando tuttavia per anni ad annullare e rimandare le nozze, imbarazzato per le umili origini della donna. Fu in quei nove anni di attesa e sofferenza che Siddal iniziò a manifestare quell’esaurimento cerebrale che la spingerà verso l’uso del laudano.

Anche quando il matrimonio con Rossetti fu celebrato, gli anni successivi continuarono ad essere costellati da amarezze e gelosie per i tradimenti di lui, finché la nascita di un figlio morto la spinse definitivamente verso il suicidio.

Dopo la morte, fatta passare dal pittore come accidentale per evitare scandali, questi ritrarrà nel 1863 la moglie defunta in Beata Beatrix nel quale il volto della donna è ormai trasfigurato nell’idealità più assoluta del personaggio dantesco.

Tra le amanti che furono causa dell’infelice vita matrimoniale di Elizabeth, è probabilmente da annoverarsi Jane Burden, altra musa dei Preraffaelliti che, con il suo fascino sensuale e carnale e la sua chioma corvina, rappresenta il contraltare alla bellezza eterea di Siddal. Notata tra il pubblico di una rappresentazione teatrale da Burne-Jones e Rossetti, divenne una delle muse favorite e una vera ossessione, in seguito alla morte della moglie. Jane si sposò nel 1859 con William Morris, esponente della seconda generazione dei Preraffaelliti e tra i principali fondatori del movimento delle Arts and Crafts.

Sebbene fosse figlia di uno stalliere di Oxford, Jane fu donna colta e indipendente, anche grazie all’educazione che il marito le fece impartire privatamente dopo le nozze. Ebbe numerosi amanti, tra i quali Rossetti, nonostante l’amicizia e la stretta collaborazione di questi con Morris, e fece da modella in un cospicuo numero di sue tele, tra cui la celebre Proserpina.

Protagonista di una romanzesca vicenda d’amore è invece Annie Miller. Questa donna, dai tratti delicati e dalla folta chioma bionda, appare in numerose opere, tra le quali Il sogno di Dante ed Elena di Troia di Rossetti, nonché in molti dipinti di Hunt, tra cui il celebre Risveglio della coscienza.

Cresciuta nei bassifondi di Chelsea, fu inizialmente modella di William Holman Hunt, che se ne innamorò perdutamente e ne chiese la mano. Prima di partire per un viaggio, Hunt affidò la ragazza alle cure del collega e amico Rossetti: al suo ritorno, i due erano diventati amanti. La stessa Siddal, sospettando il tradimento del marito con Annie Miller, ne buttò durante una lite i ritratti dalla finestra. Hunt vivrà poi altre storie d’amore tormentate, tra cui quella con Fanny Waugh, da lui ritratta in Isabella e il vaso di basilico, opera ispirata a una novella boccaccesca, e che morirà di lì a poco di parto.

Un’altra modella di Rossetti, Fanny Cornforth, fu invece una bellezza diversa da quella eterea delle altre muse preraffaellite. Domestica al servizio del pittore e poi sua amante, fu donna opulenta e matronale, tanto che Rossetti ebbe a chiamarla in seguito con lo scherzoso nomignolo di «mio caro elefante». Cornforth posò oltre sessanta volte per il suo amante e fu modella per dipinti come The Holy Graal e Lucrezia Borgia.

Un’opera in particolare sembra tuttavia incarnare perfettamente il sentimento della Confraternita verso la figura femminile. Fanny Cornforth è infatti Lilith  in un’altra tela di Rossetti, la mitologica prima moglie di Adamo, che divenne demone quando scelse di abbandonarlo. Lilith è per eccellenza la donna demoniaca e tentatrice, il cui fascino risiede proprio nella sua scelta di indipendenza. Eppure in questo dipinto ha la bellezza luminosa e salvifica di una donna angelo stilnovista ed è proprio questa contraddizione che dai Preraffaelliti passerà poi al simbolismo e a Klimt fino ad arrivare a tanta letteratura dei giorni nostri.