La Casa internazionale della donna non gode certo di privilegi, come invece sostiene la sindaca di Roma Virginia Raggi: lo hanno capito benissimo le donne e gli uomini che hanno aderito all’iniziativa dell’università a sostegno della Casa, nata d’impulso il 17 maggio 2018 mentre era in corso la seduta del consiglio comunale con il voto di una mozione contro le donne della Casa senza neanche ascoltare la loro voce.

La Casa delle donne svolge nella città pratica attiva di una positiva differenza rispetto a un clima di sopraffazione e sgombero forzato di tutto quello che cerca di costruire un tessuto di relazionalità diffuso. È un punto di riferimento e di convivenza pacifica, modello per la città in cui desideriamo vivere. Il lavoro della Casa nel corso di questi anni è di fatto incalcolabile e non si pone nel campo del privilegio, non certo nei termini con cui è stato tratteggiato proprio dalla sindaca Raggi, con superficialità e genericità.

Al comunicato che sintetizza il senso dell’iniziativa hanno aderito molte università romane, da Roma Tre a La Sapienza e Tor Vergata, moltissime università italiane e altrettante sedi internazionali, con il coinvolgimento di amministratrici e docenti, ricercatrici e bibliotecarie, studenti e insegnanti della scuola, direttrici di dipartimento e di centri di studi, prorettrici e tecniche di laboratorio, assegniste di ricerca, scrittrici e professore emerite; e uomini che hanno accettato di essere rappresentati dalla differenza femminile.

Una adesione per molti versi sorprendente e che dice anche di una porosità e di una capacità di impegno dell’università maggiore rispetto a quanto non ci si potesse aspettare in un momento storico in cui essa pare aver serrato i ranghi sul proprio essere comunità separata. Le parole che hanno accompagnato le adesioni a Roma e in Italia, dal Canada al Sud America fino alla Nuova Zelanda sono parole di forte apprezzamento e partecipazione ad una esperienza e a una storia alla quale anche da lontano si guarda come propria, capace di raccontarci in modo trasversale, qualunque sia il sesso, l’appartenenza, l’età, le esperienze professionali, le collocazioni lavorative.

Il mondo universitario sostiene la Casa consapevole della posta in gioco e di ciò che significa non solo per la città di Roma, ma per tutti quanti hanno a cuore la libertà e l’autodeterminazione delle donne. Come università continueremo a dare un contributo alla Casa in termini di progettazione di incontri e di opportunità di formazione e di conoscenza di ampio spettro e sappiamo bene quanto questo sia importante per la creazione di un orizzonte culturale e simbolico altro rispetto alla violenza e alla sopraffazione di qualsiasi genere e tipo.

Proprio per questo non è una questione che può essere affrontata in semplici termini economici come continuano a fare la sindaca Raggi e le assessore del Comune. Forse sono capaci solo di farne un’impresa di servizi, da assegnare indipendentemente dal lavoro svolto in quel luogo, indipendentemente dalla memoria storica di lungo periodo che lo sostanzia e che ne fa quel luogo unico per serenità e propositività che esso è per la città e come tale rinomato in così tante parti del mondo. Sarebbe una perdita che andrebbe a danno della città e di chi la abita non rinunciando a cambiarla. Essere donne non vuol dire solo pari diritti ma essere differenti: ne sono capaci le donne che governano questa città?