Su Repubblica del 28 dicembre Ezio Mauro ci racconta che la crisi Covid è stata per il paese una eccezionale esperienza di comunità, che culmina ora nel rito della vaccinazione. Esorta la politica a non disperderla con le sue divisioni. In parte si può anche concordare. Ma notiamo che se da un lato i venti di crisi sono forti, dall’altro le turbolenze non rimangono nel recinto della politica e delle istituzioni.

Colpisce, ad esempio, il no al vaccino di alcuni medici, ed in specie di molti operatori delle residenze per anziani. Si sono scatenate le tifoserie: vaccino facoltativo o obbligatorio? Si può accettare che il primo step sia una moral suasion. Ma sia chiaro che, nel caso non bastasse, l’obbligo può essere imposto per legge – a tutti o a singole categorie – ai sensi dell’art. 32 della Costituzione. Anzi, ragionevolmente dovrebbe essere imposto, almeno al personale sanitario e più in generale a chi è in contatto con il pubblico. Quid juris laddove in assenza di obbligo un docente o un medico no-vax diventasse un untore? Bene anche l’inchiesta avviata dall’ordine dei medici di Roma.

Colpiscono, altresì, le proteste delle categorie più disparate, e l’assalto lobbistico alle risorse pubbliche. Lo vediamo nella serie dei decreti “ristori”, e da ultimo nella legge di bilancio. Ha pesato la scelta di un processo decisionale per nulla trasparente, articolato su cabine di regia, comitati tecnici, conferenze tra esecutivi. Ha conclusivamente favorito la cacofonia politica e istituzionale, e una conflittualità strisciante e talora esplicita tra territori, gruppi di interesse o magari personaggi politici, poco e male contrastata da Palazzo Chigi. Nel turbinio di regole, non pochi governatori e sindaci hanno scelto il fai-da-te. Ha pesato altresì, la scelta dei Dpcm, che il Tribunale di Roma il 16 dicembre definisce illegittimi, e probabilmente incostituzionali. Giovani Guzzetta ne trae su La Verità del 27 dicembre la possibilità di conflitti, non solo giudiziari. Forse esagera. Ma, come ho già scritto, sarebbe stato meglio puntare più su atti di rango legislativo, che su atti amministrativi come i Dpcm.

Abbiamo in realtà avuto un assaggio delle autonomie differenziate che alcuni vorrebbero. Il ministro Boccia ha addirittura vagheggiato la nascita – dalla crisi – di un nuovo regionalismo, costruito su conferenze e concertazione tra esecutivi. Peraltro, la sua legge-quadro è felicemente entrata in un cono d’ombra: mai giunta in Consiglio dei ministri, mai presentata come collegata al bilancio. Ma potrebbe tuttora accadere. E con una lettera al Corriere della Sera del 22 dicembre il governatore Fontana riparte all’attacco per le regioni virtuose e l’autonomia. L’Italia delle repubblichette è sempre dietro l’angolo e gli egoismi territoriali rimangono, mentre la battaglia sui fondi Ue è appena all’inizio. Preoccupa, in specie, che nella proposta del governo sul Recovery Plan e nelle correzioni proposte dalle forze politiche non emerga una chiara ed esplicita priorità di ridurre il divario Nord-Sud, unica via per rilanciare in modo non effimero il sistema-paese.

Quanto alle istituzioni, è il parlamento la principale vittima. Messo ai margini, in prospettiva ancor più indebolito dal taglio, si vede da ultimo compresso dalle contorsioni di maggioranza in un bicameralismo imperfetto in cui una camera delibera e l’altra può solo in tempi brevissimi ratificare. Anche sul Recovery rischia di rimanere alla finestra. Bisognerà che le procedure speciali suggerite ora anche da Gentiloni non intacchino né la collegialità di governo, né la partecipazione piena delle assemblee alla determinazione degli indirizzi per le risorse Ue. In ogni caso, le sorti del parlamento potranno rialzarsi solo riqualificando la rappresentanza con una legge elettorale proporzionale che restituisca alle assemblee la più ampia rappresentatività e ad elettrici ed elettori la libera scelta dei rappresentanti. Aggiungo una legge sui partiti politici in attuazione dell’art. 49 della Costituzione. Al momento, è stallo.

Infine, ancora una parola sul Bilancio. Tra mance e mancette, non si è trovato lo spazio per sanare la ferita alla libertà di stampa inferta con il taglio del supporto pubblico all’editoria. Il manifesto è in prima linea tra le possibili vittime. L’augurio e l’impegno sono che la comunità del manifesto – cui appartengo – faccia whatever it takes per garantire la continuità della straordinaria storia di questo giornale.