Il terzo incontro nel serial del Nazareno resta fluttuante. La data resta da destinarsi, e l’unica cosa certa è che a frenare è il signore d’Arcore, non l’ex sindaco di Firenze. Però, giurano gli ambasciatori di entrambe le fazioni, ciò non significa affatto che si siano materializzate difficoltà insormontabili. Al contrario, tutti giurano che l’intesa sul capitolo spinoso della legge elettorale è già stata trovata. Forse è vero, forse no, ma il clima non sembra preludere a qualche tempesta. Il rallentamento imposto dal cavaliere azzurro si deve piuttosto al fatto che, mentre il premier vuole incamerare la legge elettorale con i soliti tempi fulminanti, non per Natale ma molto prima, Berlusconi ha l’interesse opposto: togliere all’amato rivale e socio la possibilità di imporre le elezioni politiche nella prossima primavera e allungare il brodo in modo da chiudere le trattative dopo la pausa estiva, quando ritiene che il previstissimo disastro economico lo porrà automaticamente in una posizione di maggior forza e moltiplicherà il suo peso contrattuale.
Ieri, in una lunga quanto reticente intervista a Repubblica, Renzi ha garantito che nel patto del Nazareno non ci sono clausole segrete e che mai verrà varata una legge a misura di condannatissimo: «Sono certo che sia finito il tempo delle leggi ad personam… Basta proporre passaggi impropri tra le riforme e le utilità del leader di Forza Italia». La smentita è in realtà propedeutica a confermare l’accordo: non le sue clausole segrete, probabilmente inesistenti, ma quello ufficiale, che per Berlusconi è più che sufficiente. E’ infatti automatico che, quando si arriverà a eleggere con queste camere il nuovo presidente della Repubblica, il co-padre della patria avrà voce sonante in capitolo, e questo per lui è molto più importante di una impossibile revisione a proprio uso e consumo della legge Severino.
La necessità di un’intesa sul prossimo capo dello Stato non è un codicillo segreto del patto tra i due leader: è nell’ordine delle cose, almeno fino a quando reggerà l’intesa sulle riforme. Deriva anche da questa necessità di evitare rotture il clima sostanzialmente conciliante di Arcore sulla revisione dell’Italicum. Due passaggi, l’innalzamento della soglia d’accesso al premio di maggioranza al 40% e le preferenze (tranne il capolista), sarebbero già state accettate da Berlusconi. Resta da definire il nodo principale, quello delle soglie di sbarramento, ma si tratterebbe solo di limature. Berlusconi insiste perché le soglie restino differenziate tra chi è in coalizione e chi no. La soluzione sarebbe in una probabile modifica di entrambe le soglie e soprattutto dello scarto tra le due. Ora sono previste al 4,50% per chi si coalizza e all’8% per chi corre da solo. Nella nuova versione si collocherebbero invece al 4 e al 5%, oppure al 4,50% e al 6%.
Da tre giorni, però, Renzi si è deciso ad aprire almeno un dialogo anche con le altre forze d’opposizione, oltre a Fi e al M5S: cioè a Sel e alla Lega. Anche ieri la presidente del Gruppo Misto-Sel Loredana De Petris, accompagnarta dal senatore Campanella in rappresentanza della componente ex grillina del gruppo, ha incontrato la ministra. Di legge elettorale non si è parlato, né si poteva parlare in quella sede, anche se evidentemente è proprio quello l’anello dell’impianto che va modificato profondamente per riequilibrare almeno in parte i guasti della riforma costituzionale. Ma su quel fronte Renzi pare comunque deciso a operare le succitate modifiche, tanto più necessarie in quanto richieste direttamente da Napolitano.
Sul fronte del senato, invece, gli spiragli sono davvero limitatissimi. Niente sull’immunità, che è stata approvata ieri. Nulla sull’allargamento della platea per l’elezione del capo dello Stato. Resta la possibilità che su questi capitoli qualche sensibile cambiamento venga operato dalla Camera. Il tema referendum e leggi di iniziativa popolare potrebbe invece essere affrontato già nei prossimi giorni a palazzo Madama. E’ certo che l’innalzamento delle firme inserito nella riforma verrà riveduto e corretto, tenendo conto delle richieste della Lega quanto di quelle di Sel. Potrebbero dunque trovare posto in Costituzione i referendum consultivi, che certo non avrebbero il carattere vincolante di un referendum propositivo, ma, una volta inseriti ufficialmente nella Carta, non potrebbero nemmeno essere derubricati a inutile sondaggione. Le firme necessarie per i referendum potrebbero invece tornare a 500mila, ma verrebbe cancellata la regola che fissa il quorum al 51% non degli aventi diritto ma dei votanti nelle ultime elezioni precedenti. In alternativa, le firme potrebbero essere portate a 650mila, mantenendo la riforma del quorum. E sarebbe una soluzione migliore.