Se l’interesse del mondo tedesco per Napoli risale almeno al leggendario Grand Tour, quello più specificamente etnologico forse cominciò con un giovane ricercatore, Thomas Hauschild, e la sua frequentazione con Alfonso Maria di Nola. Incontri molto informali, avvenuti nella trattoria di via Nardones dove il giovedì di Nola aveva l’abitudine di continuare le lezioni a tavola con alcuni dei suoi tanti studenti. Eravamo quasi sempre gli stessi.

L’alterità endogena del Meridione rispetto al resto d’Italia attraeva studiosi tedeschi verso quelle intricate dinamiche di potere e magia che si incastravano con lo storico «ritardo» meridionale e, al tempo stesso, rendevano il Sud uno spazio di ricerca e immaginazione non vincolato a teorie esplicative rigide, al di fuori dei sacri studi di De Martino. Il ricorso alla chiave interpretativa della possessione come reintegrazione di un «io» sempre in pericolo di dissolvimento era un modello utile a comprendere crisi sia politiche che personali.

UN ALTRO GIOVANE TEDESCO, Ulrich Van Loyen, nel suo Napoli sepolta. Viaggio nei riti di fondazione di una città (Meltemi, pp. 408, euro 24, traduzione di Massimo De Pascale) parte dal culto dei morti, conosciuto localmente anche come delle anime pezzentelle, per intraprendere un viaggio – sembrerebbe interiore oltre che etnografico – tra le varie anime o dislivelli interni di cultura della città. Colpisce subito la struttura del testo, in bilico tra reportage ed etnografia, dove le note di campo, le affermazioni, le confessioni dei napoletani, persino i sogni diventano testi su cui l’autore elabora le sue riflessioni citando autori, confrontando contesti, elaborando ipotesi.

A volte – forse volutamente, forse no – sembra lasciare al lettore il significato ultimo della realtà che ha davanti. Van Loyen è la voce narrante che mostra tutte le sue fragilità, il suo spaesamento – così tipico della ricerca sul campo – la sua iniziale prudenza verso un mondo che egli presenta dapprima attraverso gli studi o gli occhi di altri («Un’amica romana mi raccontò di come gli studenti napoletani superassero spesso gli esami… senza studiare», «la solita indisciplina degli italiani») per poi affrontarlo di petto e svelarlo ai lettori senza (troppi) filtri.

STUDIA LE ANIME del Purgatorio ma anche i veggenti, i fedeli della Madonna dell’Arco – i fujenti – e quei mediatori del sacro che parlano e fanno parlare i morti in diretta, senza negoziazione, come avviene nella vita reale, dove chi non ha un santo in paradiso non va avanti, come nel mondo della malavita organizzata che si interseca con la politica tentando di riciclare violenza e potere, oltre che soldi. Interessante l’accostamento tra politica e religione dell’allora nascente (2014) Movimento 5 Stelle, dove «ciascuno apporta una testimonianza autentica, come avviene tra i gruppi di preghiera carismatici».

I morti di Van Loyen non sono tanto qualcosa a cui pensare, ma con cui pensare, con i quali confrontarsi continuamente. Sono corpi morti ma in uno stato liminale, secondo le forme studiate ne I riti di passaggio di Van Gennep, un margine che ha il potere di attirare a sé altre forme e vite liminali della Napoli «ai margini».

LA RICERCA dell’etnografo tedesco esce dalle cripte per andare in superficie, tra strade e vicoli e fino al santuario della Madonna dell’Arco e dei suoi pellegrini. Più ancora, entra nei sogni, che a loro volta diventano campo di ricerca non affatto effimero ma denso come un testo da leggere con attenzione, oltre ogni teoria psicoanalitica. Come confessa egli stesso: «ho imparato che i morti che appaiono in sogno custodiscono i desideri meglio di qualunque testo». Parafrasando Max Weber, sembra che i Napoletani siano esseri sospesi tra ragnatele di significato che loro stessi hanno tessuto.

Onirismi che nel volume diventano canali medianici attraverso i quali la Grazia cristiana diviene destino, quasi a ricordare le parole del secondo cacciatore dei Dialoghi con Leucò di Pavese: «Gli dèi non ti aggiungono né tolgono nulla. Solamente, d’un tocco leggero, t’inchiodano dove sei giunto. Quel che prima era voglia, era scelta, ti si scopre destino».