“Non c’era un posto per loro” nell’affollata e opulenta Betlemme, e Giuseppe e Maria col bambino trovarono rifugio solo in una grotta fredda: mi tornano sempre in mente queste parole del Vangelo di Luca quando penso a tutti i poveri e poverissimi per i quali “non c’è un posto” in cui rifugiarsi, a cominciare da casa nostra: basta vedere gli immigrati ammassati nelle campagne d’Italia, negli scantinati di edifici abbandonati.

Nei paesi poveri e poverissimi più di mille milioni di persone abitano nei campi di concentramento di esuli e rifugiati, nelle tendopoli di lavoratori immigrati e sfruttati, in capanne e baracche spesso vicino a discariche di rifiuti, nei ricoveri provvisori delle persone in fuga dalla fame, dalle guerre, dalla siccità, vittime dei cambiamenti climatici, rifugi circondati da polvere, sporcizia e acqua di fogna, senza acqua potabile e al buio.

La risposta alla loro domanda richiede tecniche completamente differenti da quelle a cui siamo abituati noi. Bisogna inventare soluzioni semplici, case costruibili con materiali esistenti sul posto, resistenti alle tempeste e all’attacco dei parassiti e dell’umidità.
La purificazione delle acque, la distribuzione di acqua di decente qualità per l’alimentazione e per usi igienici, modeste attrezzature, come gabinetti e docce, possono contribuire a fermare la diffusione di epidemie e salvare milioni di vite.

Per tante zone occorre energia; l’energia del sole e del vento, spesso abbondante nei paesi poveri e poverissimi, può essere messa al servizio dei bisogni umani: penso a piccoli generatori di elettricità, a livello di villaggio, per l’illuminazione, per i frigoriferi in cui conservare i medicinali, per sollevare, purificare e dissalare le acque, per semplici sistemi di telecomunicazioni che avvertano gli abitanti dell’avvicinarsi di tempeste e diffondano istruzione per adulti e bambini.

Tutto questo potrebbe creare occasioni di lavoro anche per i paesi industriali; se non si vuole ragionare in termini di amor fraterno e di aiuto si consideri il potenziale enorme “mercato” di nuove “tecnologie della solidarietà”. Tecnologie da trasferire nei paesi poveri come occasioni di lavoro; si parla tanto di rispedire i migranti nei loro paesi con la formula “aiutiamoli a casa loro”: ecco che si potrebbe a fabbricare, tanto per cominciare, acquedotti e pompe per l’acqua, magari pompe solari, e cessi.

Una rivoluzione della speranza che non è soltanto un’operazione caritativa: se i paesi industriali non ascolteranno la voce dei poveri saranno travolti da violenze, pressioni migratorie e sociali e conflitti, generati dal loro egoismo e che tale egoismo finiranno — giustamente — per travolgere.