Venticinque deputati, quindici senatori, due ministre, un sottosegretario e un nome, «Italia viva», che campeggiava sulla fiancata del pullman di Veltroni nel 2008 durante la prima campagna elettorale del Pd e che Matteo Renzi aveva già ripreso nella Leopolda del 2012, quella che lo lanciò alle primarie – perse – contro Bersani. La strategia dell’ex segretario, lo stesso che due anni fa definì l’uscita dal partito di Bersani & co. «un’operazione di palazzo da parte di ex leader per conservare lo scranno», è innanzitutto una strategia mediatica. Un annuncio al giorno. Dopo l’intervista a Repubblica, oggi si formeranno i nuovi gruppo parlamentari. E ieri sera Renzi era a Porta a Porta. A dire, tra le tante cose, che «sì, se volete la mia è un’operazione di palazzo. Ma machiavelllica, e per me Machiavelli è un grande».

La prima prova è la formazione dei gruppi. Semplicissima alla camera, dove basta lo spostamento di venti deputati – e ce ne sono dunque almeno cinque in eccesso – più complessa al senato. A palazzo Madama infatti il nuovo regolamento consente la formazione di un nuovo gruppo solo se questo è legato a una lista che si è presentata alla elezioni. Potrebbe tornare utile la lista «Italia-Europa Insieme» che nel marzo 2018 in alleanza con il Pd ha raccolto lo 0,58% ma il simbolo non è nella piena disponibilità del senatore Nencini, che sta con Renzi, ma anche del verde Bonelli e del prodiano di «Area civica» Santagata, al momento non intenzionati a cederlo. C’è un’alternativa, che è quella di confluire nella componente Psi dello stesso Nencini e conquistare per questa via la guida del gruppo misto al senato. Avere un gruppo al senato è importante per partecipare alle riunioni dei capigruppo, per avere un tempo di intervento maggiore e per i finanziamenti pubblici. Finanziamenti che in ogni caso il gruppo del Pd perderà di una cifra attorno al 25-30% – tale è la percentuale di parlamentari che andrà via. Almeno in prima battuta: sono quasi altrettanti i renziani che hanno deciso di restare, annunciandolo ieri in decine di comunicati stampa tutti tormentati ma affettuosissimi con il leader in partenza. Renzi in tv ha un po’ rivendicato la manovra in due tempi. «I parlamentari – ha detto – li ho lasciati quasi tutti di là, a Zingaretti».

Caso particolare quello di Marcucci, renzianissimo numero uno dei senatori Pd. Ha scelto di non lasciare il partito e può restare capogruppo, visto che i filo-Renzi sono ancora in maggioranza tra i 32-35 senatori che (almeno per il momento) non si muoveranno. Ma Marcucci si prepara già il terreno, se – come sarebbe comprensibile – i non renziani volessero provare a sostituirlo: «Nel Pd mi sento ancora a casa mia, se si dovesse trasformare in un soggetto sempre più simile al Pds mi sentirei un estraneo». E anche sulla prudenza dei sindaci e presidenti di regione che non lo hanno seguito, come il primo cittadino di Firenze Nardella «mio fratello», Renzi è sembrato volerci mettere il timbro: «Gli amministratori è bene che restino lì».

Alle preoccupazioni di Conte per la tenuta del governo, lo scissionista ha dato una rassicurazione solo parziale: «La legislatura deve durare fino al 2023 ed eleggere il prossimo presidente della Repubblica». Nessun impegno preciso sulla tenuta dell’esecutivo, dunque, ma solo la precisazione che «a me chi me lo fa fare di metterlo in difficoltà», unità però alla rivendicazione che «la spina a questo governo l’ho attaccata io».

Soprattutto Renzi sfiderà Salvini, individuato come suo avversario numero uno, probabilmente il duello comincerà proprio in tv da Vespa. Nel frattempo qualcosa si muove in Forza Italia, dove ieri sera Mara Carfagna ha riunito a cena una quarantina di parlamentari interessati alle mosse di Renzi. Anche se la capogruppo dei senatori berlusconiani, Bernini, assicura che «non uscirà nessuno». In ogni caso «Italia viva» di Renzi, ha promesso lui stesso, «non sarà un’operazione politichese o noiosa, ma una cosa nuova allegra e divertente». Ma all’«amico» Zingaretti che con grande self control si è detto «dispiaciuto» e ha parlato di «errore», il senatore di Rignano ha riservato una prima dose di veleno: «Se devono cantare Bandiera rossa allora è meglio che tornino Speranza e D’Alema». Replica del coordinatore della segreteria Pd e sottosegretario Martella: «Le tante persone che danno anima e l’anima al Pd non meritano di essere trattate come un relitto novecentesco». Sintesi di Dario Franceschini alla collega ministra tedesca incontrata ieri a Milano: «Renzi? A big problem».