Intolleranza, ululati, cori beceri negli stadi da decenni. Koulibaly preso di mira a San Siro per il colore della pelle dal primo all’ultimo secondo di gioco in Inter-Napoli (e non solo a intervalli, come detto ieri dal questore di Milano ed ex arbitro di Serie A, Marcello Cardona), è solo l’ultimo di una serie di casi di razzismo che hanno sporcato l’immagine del calcio italiano.

Lo stesso difensore del Napoli è stato vittima di cori offensivi nel campionato in corso, a Marassi durante Sampdoria-Napoli, con gara sospesa dal fischietto Gavillucci (che non arbitra più in A da quella partita…) e tre anni fa avvenne lo stesso, diffamazioni in serie da una fetta del tifo laziale, allo Stadio Olimpico, con partita ferma per qualche minuto.

La gara successiva al San Paolo, lo stadio napoletano, i tifosi mostrarono una maschera con il suo volto. Due anni fa invece l’ex centrocampista di Milan, Inter e Udinese, Sulley Muntari, in maglia Pescara, decise di lasciare il terreno di gioco, ammonito dopo aver segnalato all’arbitro i cori razzisti di un gruppo di tifosi del Cagliari.

Mentre sei anni fa era Kevin Prince Boateng, centrocampista ghanese del Milan, con una pallonata verso i diffamatori, tifosi della pro Patria, prima di lasciare il campo. Poco più di otto anni fa a Cagliari i cori della vergogna colpirono anche Samuel Eto’o, attaccante camerunense dell’Inter di Mourinho che centrò il Triplete, esultanza dopo un gol imitando una scimmia: tanti, troppi i buu (che non sono sinonimi di razzismo, spiegava addirittura in un comunicato ufficiale la curva Nord della Lazio, sei anni fa), con l’arbitro della partita, Tagliavento, che fermò il gioco, chiedendo allo speaker di diffondere un messaggio per calmare il pubblico. Insomma, la sceneggiatura si ripete.

Quasi una liturgia, un copione della vergogna, da osservare fedelmente. «La parte malata del mondo», parole di Mario Balotelli, che nel libro Demoni del giornalista di Sky Sport, Alessandro Alciato, ha raccontato delle varie fasi della sua vita segnate da episodi di intolleranza. E che in Chievo-Inter, all’ennesimo buu applaudì ironicamente il pubblico. Con multa. Ma ad Akeem Omolade, Treviso, se possibile andò peggio. Una trentina dei tifosi del club veneto inscenarono una protesta per il suo ingresso in campo in una gara, ritirando anche gli striscioni. Non voluto dai tifosi della sua squadra per il colore della pelle. Il turno successivo, per Treviso-Genoa, Serie B, i suoi compagni di squadra scesero in campo con il volto dipinto di nero.

E Omolade, per un singolare incrocio di storia e statistica, segnò anche il suo unico gol con la casacca trevigiana. E sempre in Veneto, oltre 20 anni fa forse l’episodio più duro, l’olandese – originario del Suriname – Maickel Ferrier stava per essere acquistato dal Verona. Nella curva del club comparve un manichino impiccato. Il Verona rinunciò all’acquisto. E non per questioni di prezzo.