Non sempre coerente, di certo coraggioso. Nella ormai lunga carriera del 66enne Sergio Cofferati successi e delusioni si alternano. Se i tre milioni del Circo Massimo sono un traguardo ormai ineguagliabile per qualsiasi manifestazione, gli improperi che ancora gli inviano i bolognesi per il suo unico mandato da sindaco e la «misteriosa» fuga ne fanno il pari negativo. Il perito industriale della Pirelli ha percorso in lungo – da Milano a Roma, poi fino a Bruxelles – e in largo – da Bologna a Genova – l’Italia del sindacato e della politica. Essendo percepito con un spettro di reazione che è andato dal «pericolo eversore» allo «sceriffo che sgombra con la forma le donne rom». Il filo rosso di un tale peregrinare fisico e politico è quello di voler rimanere sempre sulla breccia, incurante di tutto e per un malcelato protagonismo. E di aver compiuto per smisurata ambizione scelte tutt’altro che scontate e sempre controcorrente.

Ripercorrerle è doveroso per capire dove l’ultima potrà portare lui e chi lo seguirà. A soli sei mesi da quel 23 marzo 2002 in cui la sua Cgil arginò il tentativo di Berlusconi e Sacconi di cancellare l’articolo 18 – ora abbattuto da Renzi – Cofferati decise di tornare in fabbrica, al posto di lavoro alla Bicocca di Milano da cui aveva iniziato la sua carriera sindacale, nonostante le chiavi della sinistra che buona parte dell’elettorato e dei giornali – Repubblica in testa – gli avevano già consegnato. Ma da «semplice cittadino» non mancò di fare politica, quella che non potè onorare in prima persona nel congresso dei Ds del 2001 contro Massimo D’Alema, partecipando però alla creazione del “correntone” che portò alla candidatura perdente di Giovanni Berlinguer contro Piero Fassino.

Alla Bicocca – e alla «coerenza» – rimase poco fedele. Meno di due anni. Accetta di candidarsi a sindaco di Bologna, città in cui il suo nome nel 2002 era stato sbianchettato da chi – il quindicinale Zeroincondotta, vicino a quei centri sociali che poi lo contesteranno – rese pubbliche le lettere con cui Marco Biagi denunciava di «sentirsi in pericolo» e chiedeva che gli fosse ripristinata la scorta. La candidatura rende «aria fritta» la promessa fatta di «non entrare in politica», scolpita perfino nel titolo del libro – «A ciascuno il suo mestiere» – scritto a quattro mani con un altro ex Cgil diventato sindaco, quel Gaetano Sateriale da Ferrara ora tornato a Corso Italia. Un’entrata nel mondo della politica da una porta laterale, sebbene spianata, per far riconquistare alla sinistra un simbolo mondiale, la Bologna finita, per insipienza degli eredi di Zangheri e Imbeni, nelle mani di Guazzaloca.

Solo la teoria funzionalista – un sindaco vira per forza a destra – spiega il suo operato. Mai amato dai bolognesi, scapperà quattro anni più tardi per andare nella Genova, città della sua nuova compagna Raffaella, dove crescerà Edoardo, suo secondo genito.

Qui, riacquistando parole d’ordine di sinistra – «lavoro e dignità», fin dai tempi della battaglia Fiom-Fiat – Cofferati accetterà la candidatura Pd a parlamentare europeo, poi rinnovata con successo a maggio scorso. Ruolo troppo stretto e poco visibile per chi ancora si sente e aspira ad essere un padre nobile della sinistra.

La candidatura a presidente della Liguria è invece un salto nel vuoto. Fatto ascoltando più il cuore – e gli adulatori – che la ragione. La sconfitta – seppur con tutti gli strascichi – è la naturale, e forse calcolata, conseguenza.
Sergio Cofferati ieri ha aperto le acque. Se la sua dipartita dal Pd provocherà una slavina o una semplice liberazione per chi lo considerava già sull’uscio, è difficile prevederlo. Di certo per la sinistra italiana – quella vera – è un giorno storico. Che va cerchiato in rosso. Una possibile rinascita.