Per secoli il suo nome è stato dimenticato, solo qualche cenno in relazione al suo celebre fratello, Carlo Broschi, cantante castrato acclamato dal pubblico di tutt’Europa, sovrani compresi, con il nome di Farinelli. In verità la parabola artistica e la vicenda biografica di Riccardo Broschi, fratello maggiore (1689 – 1756 ) di Farinelli, attivo nel campo operistico e della musica sacra, restano essenzialmente ancorate a quelle del parente, per le cui doti sensazionali di vocalista e interprete ha fornito sovente arie sia per pasticci – rielaborazioni di opere con musiche di compositori diversi, come Astianatte al Covent Garden di Londra, che per opere liriche.

LA PIÙ NOTA di queste, Merope, andata in scena al Teatro Regio di Torino nel 1732, è stata resuscitata il 9 agosto dal festival di musica antica di Innsbruck, che l’ha offerta in un’esecuzione di rilievo guidata con gusto e vivacità da Alessandro de Marchi, intendant del festival tirolese, curatore dell’edizione critica insieme a Alessandra Barbati. Basata su un libretto di Apostolo Zeno messo più volte in musica, a partire da Gasparini (1711) fino a Jommelli (1742), l’opera ci presenta nei suoi tre atti un compositore formato alla scuola napoletana, dal gusto e dalla mano sicuri, ispirato da un ampio ventaglio di suggestioni cosmopolite. Le arie di alcuni personaggi, dal tiranno Polifonte, cantato in buca dal tenore Carlo Allemano a causa dell’indisposizione di Jeffrey Francis, e di Trasimede, parte scritta per il castrato Francesco Bilancioni e interpretato con classe da Vivica Genaux, ricordano da vicino la scrittura di Porpora, per costruzione e sbalzo virtuosistico; ancora più pronunciato il virtuosismo delle arie donate da Broschi al fratello, distinte oltre che per la sbalorditiva difficoltà, per ricchezza armonica e per varietà di carattere, con vistosi richiami handeliani.

NON SI PUÒ che lodare il controtenore David Hansen per aver posto il timbro e la notevole padronanza tecnica al servizio di brani così impervi, dispiace solo la totale inintelligibilità della pronuncia italiana. Le maggiori sorprese venivano però dalle arie di Merope, di inusuale taglio tragico, offerte al piglio di Anna Bonitatibus, incisiva nei recitativi e nel canto, che a tratti sembrava ricalcare modelli vivaldiani. Parallelamente era un piacere scoprire le arie di Argia, parte di giovane amante affidata al timbro gradevole e alla tecnica smaliziata di Arianna Vendittelli, velate di suggestioni pergolesiane. Lo spettacolo della coreografa Sigrid T’Hooft tentava di ricostruire il passo, la scenografia e altri aspetti di uno spettacolo barocco. Il risultato era gradevole anche se piuttosto ingenuo, avaro di sorprese e non sempre fluido.

DI NOTEVOLE interesse però l’accostamento delle brillanti danze di Jean Marie Leclair e di Carlo Alessio Rasetti, che – poste al termine di ogni atto – riproponevano nell’ampia struttura di quasi cinque ore la formula della prima torinese.