Questo scritto fa parte di una serie di proposte messe a punto dalla Task Force “Natura e Lavoro”, un gruppo di scienziati e ambientalisti, nata per contribuire all’informazione necessaria nelle difficilissime scelte sui fondi Ue per il Green deal. (Portavoce Luciana Castellina). Queste proposte – che abbiamo ritenuto utile condividere con i nostri lettori perché oggetto del bollente dibattito politico attuale – sono frutto di un lavoro collettivo, preceduto dalla consultazione con le persone maggiormente competenti sulle singole materie. (Una prima documentazione in un inserto del manifesto, 23 luglio, intitolato “Attenti ai dinosauri”)

È in corso una talvolta caotica discussione su come si debbano impegnare i fondi europei destinati alla green economy, e come sappiamo una quantità di progetti diversi è stata presentata.  Per non rischiare che ne risulti un insieme incoerente appare indispensabile la definizione di un vero Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza orientato ai 17 obiettivi di sviluppo sostenibili (SDG) fissati dalle Nazioni Unite nel 2015, coerente con l’European Green Deal e che metta l’ambiente al centro del rilancio del Paese.

Il primo passo in questo senso è rappresentato dalla definizione – in corso – di un Pnrr (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) le cui scelte indirizzeranno l’uso delle risorse del Recovery fund da cui dipende il futuro del nostro Paese.

Già l’uso del termine Recovery fund è sbagliato, in alcuni casi è stato sostituito da un Recovery plan per indicare un piano di recupero e non di spesa. In Europa lo strumento si chiama Next Generation EU e oltre il 50% delle risorse sosterranno: sia le transizioni climatiche e digitali eque, attraverso il Fondo per una transizione giusta e il programma Europa digitale; sia la preparazione, la ripresa e la resilienza (rescEU) e un nuovo programma per la salute (EU4Health).

Il pacchetto finanzierà anche: politiche tradizionali, come la politica di coesione e la politica agricola comune, per garantire la stabilità e la modernizzazione; la lotta ai cambiamenti climatici, cui viene riservato il 30% dei fondi europei, la più alta percentuale di sempre per il bilancio dell’Ue; la protezione della biodiversità e la parità di genere.

Visto l’importo del finanziamento riservato all’Italia, avremo gli occhi di tutti gli stati europei addosso. Se saremo capaci di spendere i fondi nel modo giusto il paese potrà rilanciarsi, e diventare forse anche più forte di prima, ma se sbaglieremo ci aspetteranno momenti ancor più difficili, oltre a una grave perdita di credibilità. Per fare le scelte giuste dovremmo orientare questo Piano di Ripresa verso soluzioni basate sulla natura, come raccomanda l’Unione europea, ovvero verso una vera transizione ecologica.

Nella prima bozza di Piano non c’è però nulla di tutto questo: non c’è il ripristino e restauro degli habitat naturali distrutti a cui le Nazioni Unite hanno dedicato il prossimo decennio; non c’è la corretta gestione degli ecosistemi terrestri e marini; nulla sulla biodiversità (parola mai citata nel testo), o sulla difesa del suolo o sulla promozione di infrastrutture verdi. Il termine “ecosistema”, inoltre, viene utilizzato come “ecosistema digitale” o “ecosistema delle innovazioni”. Insomma, sembra fatto da esperti che hanno vissuto nel secolo scorso e che pensano sia possibile essere sani in un Pianeta malato.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dovrà tenere conto in modo puntuale degli indirizzi Eu e mettere al centro del proprio sistema di riferimento i Sdg (gli obbiettivi di sviluppo sostenibili) e la variabile ambiente per essere coerente con una vera transizione ecologica quale è quella promossa con forza dall’Unione. E però per rendere credibile ogni proposta avanzata nel contesto del Recovery Plan è indispensabile attivare subito un comitato tecnico-scientifico per la valutazione e il monitoraggio degli effetti sistemici dei vari provvedimenti.

È quindi necessario che le misure siano obbligatoriamente sottoposte al vaglio degli esperti di commissioni/strutture nazionali in grado di fornire un parere sulla loro coerenza con il Green Deal e Next Generation EU, con la Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, con il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima.

Il nostro paese ha già strutture di questo tipo, alcune delle quali create grazie a leggi nazionali che potrebbero, senza dover per ora creare nuovi comitati, essere incaricate del vaglio sì da non dover far fronte a costi aggiuntivi per la finanza pubblica, senza ritardi o problemi di selezione e usufruendo di un bagaglio di competenze scientifiche di elevata qualificazione e competenza. L’importante è che siano dotati del potere necessario a impedire che vengano finanziati investimenti che nulla hanno a che vedere con il green deal, o, peggio, che siano addirittura nocivi.

Fra queste strutture ci sono: 1) il Comitato presieduto dal ministero per l’Ambiente e la Tutela del Territorio e del Mare (Mattm) (istituito ex Legge n. 221 del 2015, art. 67), composto da 10 ministri, dall’Anci, dalla Conferenza delle Regioni, da 5 Istituti pubblici di ricerca ed un gruppo di esperti della materia nominati dal ministro dell’Ambiente (Dpcm 18-04-2016 – Istituzione Comitato per il Capitale Naturale e Dm 35/2019 – Nomina componenti del Comitato per il Capitale Naturale); 2) Il Comitato Interministeriale per lo Sviluppo Sostenibile (Cipess) da istituire ai sensi della Legge 12 dicembre 2019, n.141, relativa alla trasformazione dell’attuale Cipe); 3) La Commissione Via-Vas (Valutazione Impatto Ambientale – Valutazione Ambientale Strategica, l’organo indipendente che esamina tutti i progetti, i programmi e le opere per la realizzazione e l’implementazione di infrastrutture nel Paese, verificandone l’impatto in termini ambientali; 4) La Commissione Istruttoria per l’autorizzazione Integrata Ambientale – Ippc nominata ai sensi del DM n. 140 del 21 maggio 2019.

Al di là di questi organismi, e però tenuto conto del ruolo determinante ai fini della green economy dei due grandi enti – Eni e Enel – e considerando il peso che in essi ha la partecipazione pubblica, essenziale è un confronto politico sull’indirizzo dei loro programmi. Non stabilire analogo controllo sui loro progetti a lungo termine renderebbe infatti vana ogni altra misura.