Anna è una giovane veronese, cresciuta nell’agio in una città dove gli schei e il successo mondano, l’apparenza e la doppia morale hanno da tempo rimpiazzato ogni interrogativo etico. Il suo fidanzato è un buon esempio di tutto ciò: ricco, volgare, probabilmente fascista è sempre pronto ad alzare le mani sulla donna. Ma il contesto in cui si muove la giovane protagonista del romanzo di Piernicola Silvis, Storia di una figlia (Sem. pp. 334, euro 19), non è che lo scenario sinistro nel quale prenderà corpo una scoperta ancor più drammatica destinata a cambiare per sempre la sua vita.

 

È QUANDO SUO PADRE sembra non potersi più riprendere da uno svenimento improvviso che lo ha condotto fino al coma, che Anna scopre di non conoscerlo affatto, di non sapere davvero chi sia e quale storia nasconda. A farle nascere i primi dubbi un sogno ricorrente, forse l’eco di una «memoria genetica» che emerge proprio mentre l’uomo è in fin di vita. È un rastrellamento, l’azione che conduce a una strage, ci sono soldati armati che urlano, civili, donne e bambini. Dietro questi ricordi non suoi l’ombra di un dramma che si trasforma in orrore mano a mano che avanza verso la consapevolezza.

 

I PRIMI SOSPETTI si traducono in ricerche spasmodiche che la portano negli archivi militari come in Vaticano. Fino a una terribile verità: suo padre è stato un ufficiale delle SS italiane, uno dei circa 18mila connazionali che al fianco dei tedeschi si sono macchiati di stragi e brutalità di ogni sorta. Dopo il 1945, al pari della maggioranza dei suoi camerati, grazie a coperture e complicità anche istituzionali, compresa una versione nostrana dell’organizzazione Odessa, non solo non ha pagato per le proprie colpe ma si è rifatto con successo una vita. Al punto che di fronte alle menzogne e all’occultamento della verità, sarà solo Anna a fare finalmente giustizia: l’unico modo per riconciliarsi con sé stessa dopo aver scoperto di essere «la figlia di un boia».