Da bambino, Nick Hunt tentava di far volare i suoi aquiloni, ma una forza sconosciuta, alitando sopra e intorno a lui, riduceva quel gioco a un groviglio di corde e lo costringeva a battere in ritirata. Da grande, non ha provato a fare altri esperimenti e, come narra nel suo appassionante libro Dove soffiano i venti selvaggi (Neri Pozza, pp. 304, euro 17, traduzione Laura Prandini, in uscita per il 31) non ha cercato nemmeno di inoltrarsi lungo le strade della scienza o della meteorologia. Semplicemente, si è tramutato in un viaggiatore incallito, un camminatore che annusa l’aria a ogni suo passo per registrare i sussulti delle foglie e i suoni delle pietre sui sentieri.
Gli incontri con i venti hanno sempre qualcosa di leggendario per chi si sposta contando solo sulla resistenza e le percezioni del proprio corpo. «La foschia si dirada e qualcosa comincia a muovere l’aria con impeto – racconta Hunt – Gli ulivi tremavano nella brezza, manifesti strappati crepitavano sui muri rivestiti di marmo, e il bordo di pelliccia sul paltò di un’anziana signora si increspava come fosse vivo. La gente si sollevava il colletto e si calcava in testa il cappello, piegandosi in avanti per camminare. Superai un monumento ai caduti di guerra con la stella rossa comunista e un nastro con i colori sloveni bianco blu e rosso – prima indicazione che stavo lasciando l’Europa occidentale per la ex Iugoslavia – e proseguii a nordest, attraverso la porta della Bora».
Tra i fondatori del Dark Mountain Project, articolista per The Guardian e sull’Economist, scrittore e globetrotter – il suo primo libro è Walking the Woods and the Water – Nick Hunt oggi vive a Bristol e sta per iniziare un intenso tour italiano che lo porterà il 30 a Milano (al Teatro Parenti), il 31 al Festival «Da Giovani Promesse a…» di Padova, il 1 giugno al Boramata Follie di vento di Trieste, per chiudere domenica 3 come ospite della Grande Invasione di Ivrea. Spiegherà al pubblico perché cammina annusando l’aria ostinandosi a non evitare le tempeste; anzi, le va a cercare per finirci dentro, perdere la testa e ritornare in sé. Giocare con le brezze e i loro antichi spiriti, è un po’ come soffermarsi sul respiro, il soffio della vita (ànemos in greco poi trasmigrato nella latina anima), accogliendo momenti di terrore e altri di pace interiore. Soprattutto, è un modo per vanificare le frontiere politiche e i confini invalicabili che l’uomo ha disegnato sulle mappe.

Può dirci come è iniziata l’avventura con i venti? Lei ha scritto di un episodio della sua infanzia…

Quando avevo sei anni, sono quasi stato quasi soffiato via dalla Grande Tempesta britannica del 1987. Me ne stavo dritto in piedi, sul fianco di una montagna gallese e le raffiche sono entrate sotto al cappotto che indossavo e mi hanno sollevato da terra. Da quel momento, ho sempre associato i venti con un’immagine di viaggio possibile. Poi, circa tre anni fa, ho scoperto una mappa in cui venivano segnati i percorsi dei grandi venti europei – il Maestrale, la Bora, lo Scirocco, il Foehn (favonio), la Tramontana e decine di altri. Da qui, la domanda: sarà possibile seguirli, come fossero strade invisibili? L’idea del libro è nata così.

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La preferenza comunque sembra essere accordata a quelli nordici…
La maggior parte dei venti che ho rincorso per scrivere – l’Helm, il Maestrale, la Bora – erano settentrionali o nord-orientali. Si può considerare un risultato della geografia europea, in quanto la grande massa di terra continentale situata a nord del Mediterraneo crea zone di alta e bassa pressione. Questo significa che molti venti stagionali tendono a correre verso il mare. Mi sono trovato anche pericolosamente invischiato nelle raffiche meridionali, come quelle generate dal Foehn sulle Alpi e dallo Jugo (una varietà dell’Adriatico dello Scirocco).

A quale leggenda «ventosa» si è particolarmente affezionato nel corso del tempo?
In Slovenia, mi hanno raccontato che la Bora è stata una protagonista assoluta, una diretta responsabile dell’avvento del cristianesimo in Europa. Durante la battaglia che si svolse lungo il fiume Frigido nel 394, l’ultima volta che un grande esercito di pagani tentò di opporsi alla cristianizzazione dell’Impero Romano, la Bora avrebbe fatto sì che le frecce fossero soffiate contro di loro, causando una ritirata dovuta al panico e assicurando la vittoria all’imperatore cristiano. Ce n’è anche un’altra di leggenda che mi ha sempre affascinato. Riguarda il Foehn in Svizzera; secondo una versione che si tramanda, quel vento avrebbe permesso la fuga del mitico eroe Guglielmo Tell, permettendogli di assassinare il tirannico governatore austriaco e di ispirare una rivolta contadina contro il potere imperiale. In tutto il mondo (incluso il Giappone con il Kamikaze), si ritiene che le folate divine abbiano cambiato il corso della storia.

Il maestrale è considerato il «soffio» della follia. Ne ha avuto qualche esperienza pedinando le sue tracce?
Il Maestrale è padrone della pazzia e della bellezza, produce la meravigliosa luce tersa che ha attratto diverse generazioni di artisti in Provenza, nel sud della Francia. Van Gogh ne fu tormentato negli ultimi anni della sua vita, ma quel vento ispirò anche alcune delle sue più grandi esplosioni creative. Io ho seguito il suo itinerario a sud, lungo il Rodano, da Valenza al Mediterraneo, percorrendo un’antica via di pellegrinaggio, fino ad arrivare alla misteriosa e desolata Pianura di Crau. Durante questo viaggio ho incontrato molte persone che mi hanno confessato che il Maestrale li ha fatti impazzire. Ma, in realtà, è il Foehn in Svizzera a spingere gli individui a diventare ancora più folli: è associato all’ansia, alla depressione e persino a un aumento dei tassi di omicidio e suicidio. Avendo sperimentato personalmente i suoi effetti, credo assolutamente a queste storie.

Nel suo libro precedente «Walking the Woods and the Water», aveva come guru Patrick Leigh Fermor. Cosa le è piaciuto del suo modo di viaggiare? Ci sono autori che possiamo individuare come fonti d’ispirazione?
La cosa che amo di più di Patrick Leigh Fermor è la sua completa mancanza di piani, il suo approccio spontaneo al viaggio e agli incontri spensierati, un atteggiamento il suo che si mescola con un incredibile apprendimento e una profonda conoscenza della storia. Fra gli altri scrittori che ho sempre ammirato vanno annoverati Bruce Chatwin, Paul Theroux, Jan Morris (che ha scritto un bellissimo libro su Trieste) e autori contemporanei come Horatio Clare e Adam Weymouth.

Come finanzia le sue «camminate europee»? Ha un nuovo progetto di libro a cui si sta dedicando?
Per queste mie «passeggiate» alla ricerca dei venti ho ricevuto finanziamenti dalla Society of Authors – un’organizzazione eccellente nel Regno Unito che assiste gli scrittori – oltre che dal mio editore inglese Nicholas Brealey. Il mio prossimo libro avrà sempre come fulcro un viaggio a piedi e sarà sull’Europa. Ci sto lavorando, ma sarà di sicuro eccitante.

 

SCHEDA

Il festival della lettura «La grande invasione» torna a Ivrea dall’1 al 3 giugno. Curata da Marco Cassini e Gianmario Pilo (affiancati da Lucia Panzieri e Silvia Trabalza per la sezione Piccola invasione) la rassegna spazia dalla letteratura alla saggistica, dal racconto all’illustrazione, dalla musica al teatro, dalla poesia al fumetto, dall’arte alla fotografia (tredici le mostre in programma, tra cui «Racconti vagabondi» di Igort e il reportage fotografico di Carlos Spottorno& Guillermo Abril, vincitori del World Press Photo 2015). Fra gli ospiti stranieri, lo scozzese Shaun Bythell, «Una vita da libraio» (Einaudi), l’americana Nadja Spiegelman che con Clichy ha pubblicato il memoir «Dovrei proteggerti da tutto questo», Nick Hunt con «Dove soffiano i venti selvaggi» e il brasiliano Daniel Galera che presenta «Barba intrisa di sangue» (Sur).