Evan Hunter è il suo vero nome, modificato legalmente da quello originario di Salvatore Lombino, figlio di seconda generazione dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti. Con questo nome ha firmato, tra tanti altri romanzi compreso quello di cui parleremo, l’intrigante sceneggiatura de “Gli uccelli” di Alfred Hitchcock. Ma in tanti romanzi è più conosciuto come Ed McBain, e, in altri ancora, con svariati pseudonimi d’arte tipo Hunt Collins, Curt Cannon, Matthew Hope, Richard Marsten, Ezra Hannon. Parliamo di uno dei grandi autori della letteratura (gialla) del Novecento, nume tutelare per tanti scrittori di genere di oggi. Un autore molto fertile: più di centoventi romanzi, tantissimi racconti, sceneggiature, praticamente oltre 250 storie che ne fanno un “gemello” prolifico di un altro grande autore della letteratura (gialla) come Georges Simenon.

Evan Hunter / Ed McBain è stato anche saccheggiato dal cinema e dalla televisione. Oltre agli impegni con Hitchcock (anche in alcuni suoi telefilm), lo scrittore è stato all’origine di un film epocale sul mondo giovanile, “Il seme della violenza” di Richard Brooks (1955), tratto dal suo romanzo frutto degli anni di insegnamento in alcuni istituti newyorkesi. E poi, dalla sua serie di scritti più famosa, quella dell’epopea fortemente innovativa sui poliziotti dell’ “87° distretto” (precisamente da “Due colpi in uno” scritto nel 1959), Akira Kurosawa trasse il suo “Anatomia di un rapimento”.

Un avvenimento del tutto eccezionale, che avrà la sua giornata clou il prossimo 13 agosto, rilancia l’attenzione su questo affascinante e fantasioso autore letterario: la pubblicazione per la prima volta in Italia del suo romanzo autobiografico “Streets of gold” (“Le strade d’oro”) del 1974 ad opera del piccolo comune di Ruvo Del Monte in provincia di Potenza (che bravi, davvero un esempio) patria dei suoi parenti di parte di madre emigrati negli Usa. Ed è a suo nonno Giuseppantonio Coppola, che partì per gli States dal piccolo borgo lucano (l’autore tralascia del tutto il lato siciliano della sua famiglia), che il volume è dedicato, con un esergo tratto da John Lennon e Paul McCarthy (“Alziamoci tutti e balliamo una canzone”). Una storia scritta col linguaggio ironico, fantasioso e ricco di sfumature che lo rende uno dei libri più accattivanti di Hunter e non solo perché tale lo riteneva l’autore: “Ho scritto la storia della mia famiglia in un libro che, secondo me, è il più bello che ho fatto finora, ma non è stato mai tradotto in italiano. L’ho intitolato Le strade d’oro, cioè le strade d’America nell’idea di chi era costretto ad abbandonare l’Italia” dichiarò lo scrittore in un’intervista qualche tempo prima di morire. Ma assaporiamo qualche passo del libro: “Sono cieco fin dalla nascita. Questo significa che gran parte di ciò che sto per raccontarvi si basa su descrizioni soggettive o ricordi imprecisi di altre persone, uniti alla mia conoscenza empirica: quarantotto anni passati a toccare, ascoltare e odorare. Ma quadri, stanze con relativi oggetti, prati d’un verde acceso, fantastici panorami marini, scie che solcano il cielo, l’Empire State Building, donne in abito di pizzo, un ventaglio giapponese, gli occhi di Rebecca…non ho mai visto nessuna di queste cose. Le conosco di seconda mano… . Penso che persino l’arrivo di mio nonno in America sia stato condizionato da ciò che aveva sentito dire su questo paese”. E’ l’incipit fulminante, con l’invenzione della sua inesistente cecità, di “Le strade d’oro” che poi prosegue inoltrandosi nei meccanismi più intimi e familiari del rapporto con l’America e i suoi miti. Un libro di 465 pagine che si legge di un fiato come i romanzi di una volta, catturati dal linguaggio di Evan Hunter. Un racconto che ricorda le grandi saghe italoamericane di Martin Scorsese come rimarca il suo traduttore, lo studioso di cultura angloamericana Giuseppe Costigliola: “Ho scoperto davvero in questo romanzo autobiografico un Hunter diverso dallo scrittore di genere che conosciamo. Qui c’è l’autore che si interroga, con linguaggio autoironico e divertentissimo, sul sogno americano e su se stesso. Nella prima parte c’è Ruvo e l’esperienza dell’amato nonno poi si prosegue con la storia del nipote, un musicista jazz cieco (ma è lui, Hunter: un’invenzione davvero geniale), c’è la sua storia sentimentale, è pieno zeppo di riferimenti alla cultura americana (musica, cinema, fumetti…), insomma c’è tutto in questo romanzo. E’ persino un libro su cui si potrebbe costruire un corso sulla letteratura americana”.

Dunque Evan Hunter (Ed McBain) torna a casa ed è molto interessante questo tragitto intrapreso da Ruvo del Monte (nel romanzo trasfigurato in Fiormonte) attorno a uno dei suoi “figli dell’emigrazione” più noti e venerati. Spesso nei piccoli paesi si resta prigionieri di cliché legati a un complesso di inferiorità duro a morire. Qui invece hanno capito che bisognava andare oltre e vivere questo percorso con il desiderio di aprirsi a un mondo in fondo sconosciuto com’è stato quello della vecchia emigrazione se si escludono alcuni stereotipi che non hanno aiutato a scambi proficui. “I paesi si stanno spopolando – racconta Michele Patrissi assessore alla cultura con una vita nell’emigrazione a Torino – il problema è come aprirsi al mondo, come recuperare il tempo perduto. Va in questo senso l’operazione che tentiamo di fare attorno a Ed McBain / Evan Hunter. E chissà che non sia questa la via per la rivitalizzazione dei nostri borghi”.

Per questo, anche grazie alla spinta che sta venendo da Matera capitale europea della cultura, si è scelto di iniziare un progetto di conoscenza di questo autore fondamentale nella letteratura gialla (e non solo) del Novecento. E così incontri (Maurizio De Giovanni è già un pellegrino qui, da buon fan dello scrittore), rassegne di film e telefilm tratti dai romanzi di McBain, e la chicca di oggi – la scelta di far tradurre il suo romanzo autobiografico – possono preparare sviluppi futuri ancor più forti, come ad esempio un centro studi sul ritorno a una letteratura popolare di alto profilo e su di uno dei suoi protagonisti più intriganti.

E’ il modo per uscire da una solitudine che non è fatta solo di emigrazione giovanile ma di mancata aggregazione dei paesi del territorio e mancanza di coraggio nelle scelte culturali di molti, ancora prigionieri di consumi fine a se stessi forieri di rassegnazione e mancanza di futuro.

Riuscirà Ruvo del Monte a librarsi in alto, nel mondo fantasioso ma non tanto di Fiormonte alla ricerca di un senso e di una nuova storia?

La giornata del 13 agosto, che vedrà nel pomeriggio (ore 18,30) il dibattito sul libro (Costigliola), sul jazz italo-americano (Pieranunzi) e sull’emigrazione, terminerà a sera (ore 21,30) col concerto “Storie americane di emigrati italiani” di Enrico Pieranunzi accompagnato dalle parole e letture di Giuseppe Costigliola. Una giornata che segnerà certamente una tappa importante su Hunter / McBain. Il resto lo vedremo dopo.