«Il male mette radici quando un uomo comincia a pensare di essere migliore di un altro». Questa citazione di Brondsky potrebbe essere una pillola per descrivere l’ultimo album di Bologna Violenta, Bancarotta Morale (Overdrive Records), il progetto di Nicola Manzan, a cui dal 2015 si è aggiunto Alessandro Vagnoni. Il duo si rivolge a storie maledette (vere), quelle inenarrabili per la paura di rinvenire le medesime pulsioni dentro noi stessi. Stravolgendo il tratto grincore che ha caratterizzato negli anni BV, i pezzi dell’album sono come 5 capitoli di un libro, in cui i focus sono le imprese di personaggi ambigui, drammatici e criminali, raccontati con pezzi dai titoli emblematici: Gli Affari, Lo Stupratore o Il Baro. Un incedere per immagini in cui evidentemente coesiste anche una ricerca storica. Come per uno scrittore che deve studiare il contesto e i personaggi della vicenda da raccontare, Manzan ricostruisce le pagine sonore di fatti moralmente inaccettabili: «Mi è sempre interessato connettere linguaggi diversi, raccontare storie attraverso la musica, come se il suono sottolineasse il clima a l’umore che accompagnano certi fatti».

I SUOI ALBUM spesso hanno una cornice apocalittica e impregnati della materia più oscura dell’essere umano. In questo senso Bancarotta Morale si inserisce nel presente: «Probabilmente perché non mi sento immune da certi atteggiamenti. In questo disco ho raccontato delle storie che vengono dal passato, in cui la prevaricazione e l’egoismo sono elementi comuni. Oggi, come un tempo, le soluzioni che spesso sono un danno per il prossimo portano un facile profitto».

NELL’ULTIMO BRANO, Fuga, Consapevolezza, Redenzione, ci sono i 20 minuti più rarefatti, quasi a voler concedere un lieto fine: «Volevo un po’ di speranza in chiusura anche se si deve per forza passare attraverso vari stadi di coscienza, a volte drammatici o più leggeri. Spesso la serenità richiede un travaglio e può essere solo apparente». Ci sono l’armonium e l’organo, non proprio strumenti dell’hardcore. Dopo i primi brani sfuma la velocità che caratterizzava per esempio l’EP Cortina (2017) e alcuni pezzi sembrano avere delle venature folk: «Volevo che il violino fosse il fulcro melodico del discorso musicale, perché è lo strumento con cui posso esprimermi al meglio. Già con Cortina avevo sentito l’esigenza di essere aggressivo senza usare distorsioni o effetti particolari. Qui ho deciso di aggiungere un armonium che completasse lo spettro armonico dei brani, a volte anche straniante, ma più che altro per avere degli strumenti veri e suonati, con dei suoni reali».

LA COLLABORAZIONE con il batterista Alessandro Vagnoni è stata preziosa sia nella composizione che nel fluire delle atmosfere: «Cercavo una persona che mi fosse affine a livello umano e di sensibilità musicale. Il suo approccio è molto simile al mio. Alessandro ha registrato un bel po’ di batterie per così dire “al buio”. Io ne ho selezionate alcune e da quelle ho creato il disco». Nicola ha appena terminato una tournée con i Ronin, ha la sua etichetta e ora doveva iniziare la promozione e i concerti per questo disco, ma sono stati annullati.

SEMBRA IMPOSSIBILE immaginarsi il futuro della musica live quando finirà l’emergenza Coronavirus: «Sono preoccupato. Il live è il mezzo di sostentamento di molti musicisti e sappiamo che questa condizione andrà avanti ancora per un bel po’. Sono pochissimi gli artisti che possono vivere con la vendita dei dischi, figuriamoci con i proventi inadeguati e superflui dei servizi digitali. Per fortuna molti appassionati di musica si stanno prodigando per supportarci, comprando dischi e merchandising. Questo è un segnale di vicinanza davvero forte. Ci sono anche piattaforme di distribuzione e streaming ad aiutare gli artisti, facendo sì che i proventi delle vendite arrivino completamente agli artisti».