il preside
«Ci servono risorse,
non potere decisionale»

Dovrebbe fare i salti di gioia per “La buona scuola”. Massimo ha 52 anni ed «uno che ha le responsabilità e gli oneri del preside, senza esserlo e senza avere il suo stipendio». È uno dei tanti «responsabili di plesso», la nuova categoria inaugurata dalla scuola italiana all’epoca dei tagli. I presidi – «i dirigenti scolastici» – sono sempre meno e ognuno ha la responsabilità di moltissime scuole – «plessi». Se in città la vicinanza rende difficile, ma possibile seguire tante scuole, in Provincia diventa impossibile. Così Massimo all’istituto professionale di Zagarolo fa «il semplice insegnante in classe e in più ha la responsabilità di tutto quello che succede». «Il tutto per mille euro lordi, 600 netti. Ma all’anno». A lui «la buona scuola» darà il potere di scegliersi i colleghi e il piano formativo triennale. «Ma io e i tanti come me non abbiamo bisogno di potere. Abbiamo bisogno di risorse. Che è un po’ diverso». «A che serve il potere se non abbiamo neanche i soldi per comprare i torni? Che in una scuola professionale sono la base. Ecco, la riforma della scuola dovrebbe essere questa: soldi, ma soldi veri ad ogni scuola».

L’insegnante di sostegno
Siamo rimasti fuori
A giugno tutti a casa

«L’unica cosa sicura è che se verrà approvata la riforma, da giugno non ci chiameranno più». Nunzia ha 25 anni ed è vestita a lutto. Maglietta nera con su scritto «SFP V.O., fuori dalle Gae». Le sigle nel mondo della scuola sono tante. Questa significa: Scienza della formazione primaria vecchio ordinamento, fuori dalle Graduatorie ad esaurimento». «In tutta Italia saremo 10mila (c’è chi li stima in 8.900, ndr), solo a Salerno del mio anno eravamo 800. Siamo le più sfortunate perché siamo le ultime ad esserci iscritte all’Università nel 2008 e per questo non rientriamo nelle graduatorie da cui si attingerà per le assunzioni». Sono tutte insegnanti di sostegno, di cui c’è un gran bisogno. «Mi sono laureata a dicembre 2013 e dopo Master e corsi di perfezionamento costosi ho potuto iscrivermi solo alle graduatorie di istituto. Ho scelto Roma perché c’era più possibilità: dieci scuole che difatti mi hanno subito chiamata».
«Io ho un contratto annuale: seguo due bambini in due diverse classi secondo in una scuola di Roma, 11 ore a testa. Ma a fine anno sarà tutto finito». L’unica possibilità rimasta è quella di una seconda laurea. «L’università de l’Aquila è l’unica che ci accetta per ottenere l’abilitazione per la scuola dell’infanzia. Ma ci vorranno anni e la forza per ripartire da capo dopo questa botta de “La buona scuola” non so se ce l’ho».

Il personale Ata
«Per loro non esistiamo
Ci vogliono esternalizzare»

«Oramai non riusciamo neanche a garantire la sorveglianza. A scuola può entrare chi vuole, quando vuole». Cristina ha 45 anni e «due figli fatti presto e quasi all’università». Lavora «nella scuola da quando avevo 19 anni», da quando gli Ata (personale amministrativo tecnico ausiliario) si chiamavano semplicemente «segretarie» o «bidelli». Nella sua scuola alla Cecchignola, periferia romana, sono sempre meno: «25 Ata su 1.250 studenti, uno di meno rispetto all’anno scorso per un piccolo calo degli iscritti». A livello nazionale va ancora peggio: l’ultima legge di stabilità taglia 2.020 unità Ata su tutto il territorio. «Ormai non abbiamo più turni. Stiamo a scuola molto più delle ore previste, senza straordinari e recuperi. E d’estate con le ferie è ancora peggio: organizzarsi è quasi impossibile». «Con la chiusura dei Provveditorati in più ci sono arrivate in testa tutta una serie di responsabilità e funzioni che prima non avevamo: la domanda di pensione per gli insegnanti, il calcolo degli straordinari. E poi gestire le emergenze continue: le rotture delle porte, i bagni che si allagano». La loro vita dipende molto dal sistema con cui il Miur ha digitalizzato la scuola. «Il sistema Sidi (centralizzato, via web, ndr) però spesso non funziona e dopo le 19 non ci si può collegare. Fare l’anagrafe e le graduatorie è sempre un’impresa», racconta sconsolata. «Sono di ruolo dal 2000 e ho assistito alla progressiva privatizzazione della scuola». Per gli Ata “La buona scuola” «non spreca neanche una parola». «Per loro non esistiamo. Anzi. Non vedono l’ora di sostituirci, di esternalizzarci, dando tutto in appalto alle coop dei loro amici».

Abilitati Tfa
«La riforma è una beffa
Il concorso un enigma»

Alessandro ha 35 anni e vive e insegna in provincia di Lucca. Fa parte di un’altra categoria di abilitati esclusi dalle assunzioni: quella di chi ha concluso il biennio di Tirocinio formativo attivo. L’ennesima sigla fu partorita dalla Gelmini «in sostituzione delle Siss, coprendo però solo i posti che sarebbero andati a pensionamento». «Quelli del primo biennio hanno avuto in dono il concorso da Profumo del 2013, noi siamo rimasti fregati». Nella guerra fra i poveri della scuola, altre categorie li hanno sorpassati, come quelli dei Pas: percorso abilitativo speciale. «Quest’anno insegno Lettere alle medie, ma per l’anno prossimo ho pochissime possibilità: se non cambiamo il ddl posso aspirare solo ai pochissimi posti per maternità o malattia lunga». La strada del loro precariato è fatalmente lastricata di un nuovo concorso: «Dopo quello a tre prove vinto per entrare alle Tfa ne dovremo fare un altro, senza certezze sui posti e sui tempi di assunzione». «Per noi “La buona scuola” è una beffa e neanche i sindacati ci rappresentano. Anzi: ci hanno fatto causa».