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Le storie coerane che il Giappone censura

Le storie coerane che il Giappone censuraUna scena da "The Voice of the Silenced"

Maboroshi Pur non avendo ancora nessuna distribuzione in territorio giapponese, il documentario "The Voice of the Silenced" ha recentemente fatto nuovamente parlare di sé

Pubblicato 19 giorni faEdizione del 27 settembre 2024

Dopo essere stato presentato in anteprima alla Berlinale lo scorso febbraio ed aver partecipato successivamente a diverse manifestazioni festivaliere asiatiche, il documentario The Voice of the Silenced, pur non avendo ancora nessuna distribuzione in territorio giapponese, ha recentemente fatto nuovamente parlare di sé. Questo alla luce di alcune rivelazioni legate proprio alla partecipazione all’evento in terra tedesca e ad alcune conseguenti azioni portate avanti dal Ministero degli Affari Esteri del paese del Sol Levante.

Ma andiamo con ordine. Coreana di seconda generazione, Park Soo-nam è nata nella prefettura di Miyagi, nel Giappone settentrionale, e dopo aver debuttato come scrittrice nel 1963, con un volume incentrato su un famoso caso di un zainichi, i coreani nati nell’arcipelago, condannato a morte, un decennio dopo, ha scritto e pubblicato un libro sulle esperienze delle vittime coreane, non riconosciute, della bomba di Hiroshima. Nel 1985, Park decide di fare il salto nel cinema debuttando come regista di un documentario che tratta proprio questa tematica, The Other Hiroshima, Korean A-bomb Victims Tell Their Story, seguito nel 1991 da Song of Ariran – Voices from Okinawa e altri lavori realizzati in questo millennio.

The Voice of the Silenced è un documentario composto da immagini prese dalla filmografia di Park e da altro materiale filmato ma mai usato finora dalla regista, per lo più testimonianze di coreani cresciuti nell’arcipelago. Il lungometraggio è diretto dalla stessa Park assieme alla figlia Maeui e si tratta di un’affascinante riflessione sulla combattiva vita di Soo-nam, coreana cresciuta in Giappone fra mille difficoltà, che ha finito per lasciare il suo lavoro per dedicarsi alle battaglie sociali e che ora, alla soglia dei novant’anni, ha quasi perso la vista. Allo stesso tempo il lavoro esplora e cerca di portare alla luce, attraverso il materiale visivo raccolto dalla donna nel corso degli ultimi quattro decenni, alcune delle problematiche legate alla colonizzazione della penisola coreana per mano giapponese nel periodo bellico e pre bellico, violenze e sfruttamenti, e gli abusi subiti successivamente dalla minoranza coreana nata e cresciuta nell’arcipelago.
Come scritto in apertura, The Voice of the Silenced deve ancora trovare distribuzione ufficiale in Giappone, probabilmente sarà proiettato in alcune sale indipendenti come successo con altri dei suoi lavori, anche se spesso i teatri o la donna stessa hanno più volte ricevuto minacce da gruppi dell’estrema destra nazionalista giapponese.

È notizia recente, diffusa alcune settimane fa dall’agenzia giapponese Kyodo News, che in occasione dell’invito del film a Berlino lo scorso febbraio, l’Ambasciata giapponese in Germania avrebbe contattato il festival per avere un incontro riguardo alla proiezione del film. Inoltre, sempre secondo quanto riportato dall’agenzia, l’Ambasciata avrebbe segnalato al Ministero degli Affari Esteri giapponese sia il contenuto del documentario, specialmente le testimonianze di ex ianfu, le donne coreane costrette alla prostituzione per i militari durante la guerra, sia addirittura il pubblico intervenuto per assistere al film. Anche se questo tipo di intrusioni politiche sembrano non essere qualcosa di nuovo, risulta sempre più evidente come le istituzioni governative e diplomatiche giapponesi all’estero siano particolarmente sensibili e tendano a raccogliere sempre più informazioni riguardo a opere considerate problematiche, specialmente quelle che trattano questioni storiche spinose e delicate tra Giappone e la penisola coreana.

matteo.boscarol@gmail.com

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