Non si è mai parlato così tanto di cucina come negli ultimi anni, i nomi dei grandi chef sono osannati, le trasmissioni tv dedicate ai cuochi si moltiplicano dappertutto. Ma se si guarda più da vicino la realtà delle cucine dei grandi ristoranti citati dalle guide tipo Michelin, si scopre una realtà particolare: il campo della gastronomia internazionale è assolutamente dominato dagli uomini, questo è un settore dove le diseguaglianze di genere sono molto presenti e persistenti. Eppure le donne hanno sempre fatto da mangiare, nutrire la famiglia è stato un compito secolare affidato alle donne. Come mai è così difficile per una donna essere «chef»?

IL MODELLO DELLA GRANDE cucina nel mondo è francese, Auguste Escoffier (1846-1935), «re dei cuochi» e «cuoco dei re» ha inventato e diffuso nel mondo i Palaces, i grandi alberghi dotati di grandi e lussuosi ristoranti, dal Ritz di Monte Carlo al Savoy di Londra. Con Escoffier il taylorismo è entrato in cucina. In Francia il modello è da sempre maschile: nella guida Michelin 2018, ci sono 621 ristoranti stellati (28 con tre stelle, 85 con due), ma solo una cheffe, Anne-Sophie Pic, ha 3 stelle; sui 57 nuovi stellati di due anni fa ci sono solo 2 donne (e tutte e due, la coreana Mi-Ra e la malese Kwen Liew lavorano in coppia con un uomo). Nella guida Michelin 2016, su 600 stellati solo il 3% è una cheffe, nel 2017 su 616, c’è una sola nuova cuoca stellata, Fanny Rey. Nel 2019, su 61 nuovi stellati la cifra è in crescita, 8 cheffes stellate. Nel 2020, su 628 ristoranti si arriva a 33 cheffes stellate. Nella classifica World’s Fifty Best Restaurants del 2017 ci sono solo due donne-chef.

LA GUIDA MICHELIN, che nasce nel 1900, ha citato le prime donne nel 1933 (due lionesi, Eugénie Brazier e Mère Bourgeois) e bisognerà aspettare il 1951 per avere la prima cheffe a tre stelle, Marguerite Bise. Le associazioni professionali hanno a lungo sbarrato l’accesso alle donne: fino al 1997 non era possibile per una donna chef entrare nell’associazione dei Maîtres cuisiniers de France (quell’anno ne accoglie per la prima volta due, ma nel 2001 Anne-Sophie Pic, tripla stellata Michelin nel 2007). Al concorso del «Bocuse d’or» solo una donna ha vinto, nel 1989, Léa Linster.

 

PER LOTTARE CONTRO questa esclusione, nel 1971 la cheffe Annie Desvignes fonda la prima associazione di Restauratrices-Cuisinières (Arc). Oggi esistono numerose associazioni di donne-chef, Parabere Forum, Les nouvelles Mères cuisinières, Elles sont food!, esiste una guida francese per le 500 migliori cheffes. Ora c’è anche il concorso al femminile Cuillières d’or.

DALLE SOCIOLOGHE statunitensi Deborah Harris e Patti Giuffre, che hanno analizzato le diseguaglianze di genere nelle cucine, agli studi della storica italiana Silvana Chiesa, che ha messo in evidenza le particolarità della situazione italiana – meno crudele di quella francese, ma altrettanto difficile – fino alla creazione del primo Osservatorio internazionale della professione al femminile, «Cheffes d’ici et d’ailleurs», creato da Marina Miroglio, italiana di Parigi attiva nel settore, e la polacca Katarzyna Vermont, qualcosa si sta muovendo. A Parigi, Marina Miroglio e Karatzyna Vermont nel dicembre scorso hanno organizzato un incontro in occasione della settimana della cucina italiana nel mondo, l’avvenimento annuale «Cheffes! Rentrez dans les cuisines!», per valorizzare le diverse esperienze e creare uno strumento di informazioni per le candidate a questo mestiere. Tradizionalmente, alle donne era riservata la pasticceria, le ragazze uscite dalle scuole alberghiere sono piuttosto indirizzate verso il servizio in sala, l’amministrazione, il marketing, invece che l’alta gerarchia delle cucine.

È LA STORIA DELLA CUCINA francese che ha favorito la preminenza maschile. I primi capo-cuochi dei ristoranti parigini e delle grandi città francesi avevano lavorato per la corte, per i nobili, per i militari e perdono il lavoro con la Rivoluzione del 1789. La tradizione è militare, le divise adottate in cucina, la severa gerarchia che si manifesta a cominciare dalle toques, i copricapo, in Francia rigorosamente bianche: lo chef ha la toque più alta (perché deve essere visto da tutti), poi via via l’altezza della toque diminuisce con le mansioni inferiori, fino alla calotta piatta per i pelapatate. Anche l’ambiente è militare. In cucina si risponde forte e chiaro «oui chef» a ogni ordine, che non si discute. La cucina è organizzata in «brigate», come l’esercito.

ESCOFFIER AVEVA teorizzato che per preparare e servire volumi di cibo ci vuole organizzazione militare, nessuna improvvisazione. L’ambiente è ostile per le donne, che fin dalle origini non sono gradite nelle cucine della grande gastronomia, si teme che facciano abbassare i salari. La violenza regna nelle grandi cucine: lancio di pentole, calci negli stinchi (per questo i sotto-cuochi portano delle ghette per proteggersi), insulti, come ha raccontato la scrittrice Maylis de Karangal in Chemin de tables (Seuil). Uno chef stellato ha dovuto spiegarsi di fronte alla giustizia del lavoro perché aveva l’abitudine di mettere la mano dei sottoposti sulla piastra incandescente del fornello, come punizione per non aver realizzato bene un ordine.

«ESISTE UN’ENORME omertà in cucina – spiega Marina Miroglio – l’ispezione del lavoro è in difficoltà a far parlare i ragazzi, mentre queste rivelazioni hanno cominciato ad essere diffuse quando sono state le ragazze a denunciare». Per le donne in cucina ci sono inoltre affronti sessisti, a volte molestie, svalutazione del lavoro realizzato, ordini di trasportare pesi eccessivi per metterle alla prova ecc. In Italia la storia è un po’ diversa, la cucina non ha una tradizione militare ma più famigliare e questo spiega una maggiore apertura: l’Italia ha il maggior numero di cuoche stellate al mondo, 46 nel 2018, un terzo delle cheffes stellate sono italiane (mentre il Giappone, che è il paese più stellato al mondo dopo la Francia, non ha nessuna donna-chef all’apice). Sulle cinque tristellate al mondo, due sono in Italia.

LA TRADIZIONE ITALIANA ha però anche il suo rovescio della medaglia: il modello «trattoria famigliare» significa che le donne sono sfruttate, spesso non vengono dichiarate, e quando tentano di fare il salto di qualità per entrare nella grande gastronomia, come ha messo in luce la storica Silvana Chiesa, trovano difficoltà ad accedere al credito presso le banche, se non hanno una famiglia dietro. Anche i grandi cuochi italiani di solito preferiscono non avere donne tra i piedi (Vissani: «Le donne non sopportano il carico di lavoro»), ma ci sono eccezioni, sottolinea Marina Miroglio, come Massimo Tringali del ristorante stellato Armani a Saint-Germain a Parigi, che è coadiuvato da una vice donna.