Fino a che non si arriva ai quattrini lo sfogo di Fabio Fazio su Repubblica è ineccepibile. Come si fa a negare che negli ultimi anni, non mesi come dice la star di Che tempo fa, si sia assistito a «un’intrusione della politica nella gestione della Rai che non ha precedenti»? Solo che Mr. Valium, come ebbe a definirlo Bono degli U2, non allude alla tasformazione del servizio pubblico, con il suo programma in primissima fila, in grancassa personale di Matteo Renzi. Quella non sembra creargli anzi alcun problema. La nota dolente è che «la politica si è intromessa nella gestione ordinaria di un’azienda, addirittura nei contratti tra viale Mazzini e gli artisti». Tradotto in italiano significa che la politica minaccia la sua cospicua prebenda, con l’obiettivo di tagliarla fino a 240mila euro. Una miseria.

Fazio non è solo. Sulla principale testata concorrente, il Corriere della Sera, Massimo Giletti batte sullo stesso tasto, con una punta ricattatoria in più: «Se il tetto venisse applicato qualcuno potrebbe pensare che non è conveniente rimanere nella tv pubblica». Del resto anche Fazio, pur con l’abituale stile soave, aveva messo sul piatto della bilancia la medesima minaccia. Permanenza garantita fino a maggio. Poi si vede, anzi si conta, e dar vita a una produzione indipendente potrebbe rivelarsi un’ottima idea.

I conduttori a rischio di drastico impoverimento premono su una breccia già aperta dal parere dell’Avvocatura dello Stato, richiesto dal governo. Verdetto drastico: benissimo il tetto in questione per manager e dipendenti Rai, ma non per le star dal momento che, in forza di una norma varata con la Finanziaria del 2007, «la prestazione artistica o professionale che consenta di competere sul mercato» non deve essere soggetta a vincoli di sorta. Poco male se il risultato è un paradosso per cui i superpagati dall’azienda pubblica sono apprezzati grazie alle imperiose leggi del mercato, ma allo stesso tempo sono anche messi al riparo dalle intemperie proprie del mercato stesso.

La politica replica al j’accuse di Fazio almeno in apparenza a muso duro. Anzaldi, il renzianissimo segretario della Commissione di vigilanza, giura che «il Pd non ha smarrito la strada: non abbiamo riformato il canone per permettere a una piccola casta di sopravvivere». Brunetta compensa il noto malanimo di Forza Italia per il presentatore più apertamente Pd che ci sia chiamando in causa anche il ben più amato da Arcore Bruno Vespa: “Vogliamo chiarezza sui maxstipendi della Rai, per i dj come Fazio e per i giornalisti come Vespa. Se vogliono il mercato che vadano sul mercato». I toni più duri arrivano dall’M5S, che ironizza sul «coraggio da leone» che il solitamente mansueto Fabio scopre «solo quando gli toccano i soldi: non risulta che per lui la lottizzazione fosse un problema», e soprattutto da Sinistra italiana.

Per la capogruppo al Senato Loredana De Petris, “la rivolta delle star è scandalosa. Sarebbe però ancora più grave e invierebbe un messaggio devastante se il governo cedesse a pressioni e ricatti». Il governo farà sapere se intende cedere oppure no solo il 15 aprile. Per ora mantiene il silenzio ed evita di replicare all’intemerata di Fazio. Nel cda, dal quale proviene la delibera della discordia, ci sono posizioni diverse. Franco Siddi ammette sì che «tetto o no i compensi milionari dovranno essere valutati con grande attenzione», però boccia la strada sin qui indicata perché “ha introdotto una camicia di forza», rischia «di privare la Rai dei migliori talenti sul mercato» e «di essere un favore alle componenti commerciali del sistema».

Arturo Diaconale, anche lui consigliere Rai, è di parere opposto: «Le dichiarazioni di Fazio e Giletti sono la conferma che dobbiamo mantenere la posizione. Se vogliono stare sul mercato, allora ci stiano. Se ci sarà un intervento del governo ci atterremo, ma da solo il parere dell’Avvocatura per noi non basta. Per l’applicazione della delibera la deadline è aprile. Il governo ha un mese».

Entro il mese, quasi certamente, l’intervento del governo ci sarà. In fondo, ben prima delle star, era stato il Mef a suonare l’allarme. Urge smerciare all’estero, e di fronte a questo imperativo non c’è tetto che tenga.