Il referendum costituzionale non è cosa da generare passioni. Né da una parte, né dall’altra. Inutile nascondersi che galleggia su un mare di annoiata indifferenza. La carica demagogica del sì è andata via via esaurendosi insieme con la verve vendicatrice dei suoi promotori.

L’allarme democratico del no non riesce a far rabbrividire nessuno e sulla buona salute dell’attuale rappresentanza non c’è chi scommetterebbe un soldo. Non era difficile prevederlo.

Nel campo della cosiddetta «antipolitica» e del risentimento di cui si nutre quotidianamente nessuna misura contro i presunti o reali privilegi della classe politica sarebbe comunque sufficiente a soddisfarli. Per non parlare di quelle frange estreme che sognano l’intervento salvifico dell’ «uomo forte». Quegli stessi che sono soliti imputare le nefandezze delle passate dittature agli intriganti e i cattivi consiglieri che avrebbero indotto il capo in errore.

MA PER I PIÙ il mugugno e l’invettiva sono una condizione esistenziale, l’esternazione dei propri disagi e la principale spiegazione della loro origine. Si potrà mai privare del maltempo quelli che lo stramaledicono come i quattro pensionati avvinazzati della canzone di De André? Infine, non vi è cittadino incapace di rendersi conto che la riduzione del numero dei parlamentari non gli arrecherà vantaggio alcuno. Le allodole potrebbero rinunciare a specchiarsi. Cosicché gli stessi agitatori che un tempo infiammavano le piazze contro la «casta» (in realtà un torneo tra compagnie di ventura nel quale si accingevano ad entrare) ripiegano su puntigliose argomentazioni prive di qualunque appeal. Tutto il resto è noia.

NEL CAMPO dei difensori della democrazia come sistema complesso, diffidenza e disillusione non sono certo marginali. Anche quelli più affezionati al valore della rappresentanza parlamentare non possono nascondersi il fatto che essa sia stata svuotata per decenni da scelte e riforme illuminate dal faro della «governabilità».

OVVEROSIA dallo strapotere dell’esecutivo (in certe fasi della magistratura) e dalla volontà di proteggere i governanti dall’azione dei governati. Con la complicità di tutte le forze politiche e dello stesso Parlamento che oggi lamenta la sua perdita di peso. Di fronte a tutto questo quanti considerano la Costituzione come i fondamentalisti islamici il Corano e cioè come il testo che contiene tutte le verità politiche, tutte le spiegazioni, gli strumenti e i rimedi, non sono certo di aiuto. Semmai il contrario.

CHI IN QUESTI anni ha esercitato il suo impegno sul terreno sociale contro sfruttamento e diseguaglianze, intendendo la politica come un continuo approfondimento della democrazia e non come statica conservazione delle sue forme, come produzione di una nuova istituzionalità dal basso, di istituzioni del comune, è ragionevolmente restio a scendere in campo nella contesa referendaria. Sono soggettività, queste, che praticano e ricercano una risposta autonoma alla crisi della rappresentanza di cui mettono accuratamente a fuoco le radici politiche. Tutto il resto è solo e ancora noia.

La riforma voluta dai 5stelle in un contesto e in una fase del tutto diversa della loro storia è senz’altro tra le più insulse e dal valore simbolico altamente deperibile. Tuttavia in questo paese le riforme insulse (quando non dannose e vessatorie che hanno però generato resistenze e lotte come quelle della scuola) non si contano. E in questa nebbia di produzione legislativa pletorica, inutile e irriflessa, la riduzione del numero dei parlamentari sprofonda interamente.

COSICCHÉ neanche l’allarme intorno alla sua capacità di minare la democrazia nel nostro paese viene preso eccessivamente sul serio. Tanto è vero che ormai il contenuto della riforma residua come uno sfondo sempre più aleatorio di ben più pressanti questioni di equilibri politici e rapporti di forze nonché delle carambole che li determinano. Che questa evidenza infastidisca e danneggi ulteriormente l’immagine e la qualità della politica molto più dell’oggetto specifico del referendum, è ben difficile non vedere. Siamo distanti anni luce dai referendum sul divorzio e sull’energia nucleare, ma anche da quello meno remoto sull’acqua pubblica. Quando la posta in gioco era tale da incidere nettamente sulla vita dei cittadini.

MOLTE ASSAI ragionevoli argomentazioni sono state messe in campo dai sostenitori del no. Che, tuttavia, possono essere in gran parte ricondotte a una sorta di ortopedia dedita ad ingessare le fratture della democrazia rappresentativa senza davvero entrare nel merito della sua osteoporosi. Senza proiettarsi, cioè, verso un radicale rinnovamento della politica democratica, dopo il fallimento dell’ingegneria politica digitale targata cinque stelle.

Questa ortopedia non è cosa da suscitare particolari passioni fuori dalla cerchia dello specialismo politico e istituzionale. Certo è che più del risultato di questa stanca consultazione è il fatto stesso che essa abbia luogo a rivelarci qualcosa sullo stato politico della nazione. Nulla di buono, nulla di interessante.