C’è Leo, il cane-eroe, che a comando del premier italiano offre la zampa alla cancelliera tedesca. C’è Sergio Marchionne che a Maranello fa l’ospite in tenuta casual, illudendosi di ricordare l’eleganza naturale dell’Avvocato. C’è Matteo Renzi che riconosce alla potentissima il merito di aver fatto sentire all’Italia «la vicinanza tedesca» e la signora che ricambia la cortesia annunciando i finanziamenti teutonici per la ricostruzione di una scuola e soprattutto lasciando capire che userà i proprio buoni uffici perché all’Italia sia concessa l’agognata super-flessibilità. Coreografia e regia studiate nei particolari. Peccato che dietro le quinte la realtà sia più ostica.

Poche ore prima erano usciti i dati Istat sullo stato dell’occupazione. Per quanto governo e Pd, coadiuvati dalla stampa con Repubblica ormai imbattibile nell’ossequio, si arrampichino sugli specchi per contrabbandarli come positivi, sono invece pesantissimi e pienamente omogenei a quelli, altrettanto negativi, usciti un mese fa sullo stato del Pil. Restituiscono nel complesso un quadro sconfortante, non solo perché registrano 63mila posti di lavoro in meno, a luglio, rispetto al mese precedente, ma perché tutti gli indicatori significativi hanno virato pesantemente in rosso: cresce il lavoro tra chi ha più di 50 anni, diminuisce tra under-50 e s’impenna tra i giovani con addirittura il 2% di disoccupati in più. Aumentano gli inattivi, cioè quelli che il lavoro non lo cercano più. Tra i contratti, una volta smessi gli incentivi, tornano a gonfiarsi i contratti a termine e a dimagrire quelli stabili.

Non è tanto questione di percentuali che, come ricorda il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano, su archi temporali così brevi sono poco affidabili. La nota dolente è che il segnale nel complesso è chiaro, tanto più se sommato ai deludentissimi dati sul Pil: la renzinomics non funziona. I pur pallidi risultati positivi dei mesi scorsi si rivelano drogati ed effimeri. Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti prova a rivendersela come un successo: «Rimangono positive le tendenze di breve e lungo periodo». Per l’M5S Luigi Di Maio parla invece di «bollettino di guerra». Da Sinistra italiana Alfredo D’Attorre e la capogruppo al Senato Loredana De Petris denunciano il «fallimento» di Renzi e chiedono una sterzata, dal Fiscal al Social Compact. In concreto investimenti pubblici.

Ma al di là delle schermaglie, i dati di ieri sono tempestosi per due ragioni distinte. Sul piano economico rendono più complicata la manovra che dovrà essere di fatto riscritta entro il 20 settembre. Sul piano politico rischiano di accompagnare Matteo Renzi alla prova referendaria circondato dall’aura livida del fallimento. L’esatto opposto di quello a cui mirava il premier, che puntava su una marcia trionfale costellata di risultati positivi su cui far leva per chiedere agli elettori di premiarli e consolidarli plebiscitando il capo del governo.

Alle propagande di tipo apocalittico, quelle che chiedono il voto minacciando in caso contrario il diluvio universale sul fallimentare modello della campagna anti Brexit, Renzi non ci ha mai creduto. Lui vuole il voto come riconoscimento dei risultati raggiunti, e se non ci sono tocca inventarseli.

Per sua fortuna da questo punto di vista Renzi è insuperabile. Ieri nella sua e-news settimanale ha squadernato addirittura 30 slides, una per ogni mese di governo. Obiettivo: dimostrare che in questi mesi tutto è cambiato in meglio. La disoccupazione non è forse scesa dal 13,1 all’11,4%? Il Pil non è forse passato dal -1,9% all’1% con segno positivo?
Il trucco c’è e si vede. Per la precisione lo vede e lo denuncia il capogruppo azzurro Renato Brunetta. Il paragone realmente indicativo, in questi casi, non è infatti quello con il passato ma con gli altri Paesi in condizioni simili, cioè quelli dell’Eurozona. E da quel punto di vista peggio dell’Italia in termini di Pil ci sono solo Grecia e Finlandia, e quanto a occupazione oltre alla solita Grecia stanno messe peggio Spagna, Cipro e Portogallo.

Di qui al referendum Renzi avrà dalla sua due alleati potenti, Angela Merkel e un’informazione che più allineata non potrebbe essere, ma anche una nemica che potrebbe rivelarsi ancora più potente: la realtà.