Un amico in musica che torna ogni anno a visitarci. Anche nel 2017 avremo Steve Hackett in Italia, per il quarto anno consecutivo e con quattro date – stasera al al Teatro Colosseo di Torino, domani al teatro Galleria di Legnano, il 31 a Schio (Vi) al Teatro Astra e, il 1 aprile a Roma, già sold out. Tanto che sono state annunciate quattro nuovo date a luglio: il 4 al Lazzaretto di Bergamo, il 5 al Beach Arena di Lignano Sabbiadoro, il 7 a Pescara e l’8 a Sogliano al Rubicone. Il regalo è doppio, da parte del leggendario chitarrista dei Genesis: il viaggio sul palco in un passato glorioso e spesso, e assieme un nuovo disco appena pubblicato, The Night Siren.

Da qui prende le mosse la chiacchierata con il chitarrista, sessantasette anni appena compiuti: «Sì , ho scelto quel titolo come una sorta di ’ultimo avviso’ prima che abbiano il sopravvento le non ragioni del nazionalismo e del razzismo. Tutto il disco intende celebrare l’unità del pianeta, come se un uccello volasse libero sopra i confini degli uomini, e scoprisse come sono in relazione le culture diverse del mondo, dagli Stati uniti al Medio Oriente, dall’Islanda al Perù e fino ad arrivare all’Australia. C’è una canzone simbolo, West To East, in cui ho voluto assieme cantanti israeliani e palestinesi». The Night Siren è il secondo disco in cui Hackett mette assieme musicisti e strumenti da tutto il mondo, dopo Wolflight. Una strada percorsa da Peter Gabriel…: «Abbiamo molto in comune, ma ognuno fa le cose a modo suo. In realtà a me hanno sempre interessato i suoni dal mondo, e già nei ’70 lavoravo con strumenti orientali e percussionisti dal Brasile. In tempi più recenti ho incontrato moltissimi musicisti da varie parti del mondo tramite la band ungherese Djabe, con cui lavoro stabilmente almeno una volta l’anno. E poi ci sono i molti viaggi che con mia moglie abbiamo fatto in giro per il mondo: Cina, Perù, Thailandia, Cambogia, Islanda, Messico, Marocco. Tutte fonti di ispirazione».

Nel passato  l’ex Genesis ha lavorato con Steven Wilson, un po’ il «guru» del new progressive rock, anche come curatore dei remix dei vecchi e gloriosi gruppi prog: «Ho suonato in suo disco, e lui ha cantato in una delle canzoni inserite nell’album Genesis Revisited II. Poi ha curato parecchi remix dei miei vecchi dischi solistici, e ha prodotto tutti i miei dischi più recenti assieme a Roger King. La squadra migliore per capire cosa voglio dai miei progetti solistici».

Una volta Robert Fripp dei King Crimson ha detto che nei Crimson Hackett avrebbe potuto essere il perfetto suo sostituto: «Li ho visti dal vivo nel 1969, e sono rimasto sbalordito. Poi le nostre strade si sono evolute in modi molto diversi. Robert ha un approccio molto più cerebrale alla musica. Il che non è né giusto né sbagliato: semplicemente sono strade diverse». Una carriera lunga quaranta dischi, ma solo una colonna sonora, quella per il documentario Outwitting Hitler, storia di un polacco che salvava gli ebrei fabbricando falsi documenti d’identità nazisti: «In realtà molti miei pezzi sono stati usati nelle colonne sonore, perché funzionano di per sé con le immagini. E poi tendo sempre più a lavorare con le orchestre».

L’artista britannico sembra un caso speciale di musicista perfettamente a proprio agio con i vecchi repertori, come quello dei primi Genesis e anche la nuova musica. Un uomo e un musicista realizzato?: «Mi piace combinare il nuovo e l’antico. Trovo che sia molto importante lavorare sulla memoria, ma anche continuare a fornire sangue fresco e vitale alla musica».