A due settimane dal colpo di stato che ha portato al potere i militari guidati dal giovane colonnello Assimi Goita, il Mali vede forse uscire di scena l’ex presidente Ibrahim Boubacar Keita. All’età di 75 anni l’anziano presidente è stato ricoverato nella notte di martedì presso la clinica Pasteur di Bamako per un ictus e al momento le sue condizioni risultano «in miglioramento e stabili».
Secondo la stampa locale, inoltre, il Comitato nazionale per la salvezza del popolo (Cnsp) avrebbe acconsentito a un suo ricovero, e forse esilio, probabilmente in una struttura sanitaria negli Emirati Arabi Uniti.

LA PARTENZA DI IBK coincide con un momento cruciale per la transizione politica e il futuro del paese: «Il campo delle possibilità è ampio perché le sfide sono ampie», secondo l’espressione del sociologo maliano Brema Ely Dicko.

La giunta militare o Comitato nazionale per la Salvezza del popolo ha inizialmente proposto tre anni, prima di ribassare a un periodo tra i 14 ed i 18 mesi sotto la guida militare o civile. «Non più di un anno di transizione, e sotto responsabilità civile» richiedono i paesi della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) e la Francia, preoccupati per la stabilità di un paese cardine del conflitto contro i gruppi jihadisti nel Sahel, al suo quarto colpo di stato in sessant’anni di indipendenza.

Incertezze legate anche alle prime incomprensioni tra il Cnsp e il principale raggruppamento delle opposizioni, il Movimento 5 Giugno (M5–Rfp), guidato dall’influente imam Mahmoud Dicko e composto da numerosi partiti dell’opposizione e soggetti della società civile maliana.

MENTRE IL M5-RFP si considera un partner privilegiato del Cnsp, quest’ultimo, lo scorso sabato, aveva invitato tutti i partiti politici – firmatari degli accordi di Algeri del 2015 – escludendo di fatto il «M5» ad un summit sulla gestione della transizione. Incontro poi successivamente annullato e riproposto al solo «Movimento» il giorno successivo, molto probabilmente a causa delle dure parole dell’imam Dicko che aveva dichiarato di «aver chiesto a tutte le forze politiche, sociali e religiose di sostenere i militari, anche se questo non significava lasciar loro carta bianca», come monito per quello che è stato visto come un tentativo da parte dei militari di estromettere opposizioni e società civile dalla transizione.

«Il M5-Rfp rimane un attore importante in questo cambiamento e deve essere coinvolto in prima linea nell’architettura della transizione – ha affermato dopo l’incontro l’altro leader del M5-Rfp ed ex ministro dell’economia, Choguel Maiga -, i militari per lo più ci hanno ascoltato e condiviso le nostre idee, è un ottimo punto di partenza».

«L’importante non è chi dovrebbe guidare o quale sia la durata della transizione, ma che vengano fatte le riforme chieste dalla popolazione che vuole partecipare al cambiamento – ha scritto in un report l’Istituto di studi sulla sicurezza (Iss) di Bamako – con riforme economiche, sociali ed amministrative credibili e non imposte da partner e paesi esterni».

LA PAROLA CHIAVE #MaTransition è diventata virale in questi giorni sui social network, dove la piattaforma delle organizzazioni della società civile richiede principalmente riforme «profonde anche per quanto riguarda la divisione dei poteri tra presidente, primo ministro e parlamento». È una delle principali cause della caduta del “presidente-padrone” Ibrahim Boubacar Keita.

«Il Mali è un paese segnato da grosse problematiche: anni di guerra, attacchi jihadisti (nonostante l’intervento di forze internazionali e straniere), violenze intercomunitarie, povertà, corruzione» – conclude il report dell’Iss – e sono tanti i maliani che sperano in un futuro diverso e che vedono il golpe come un’opportunità per un rinnovamento democratico». Militari permettendo.