Il presidente dell’Anac Raffaele Cantone e la ministra dell’Università Valeria Fedeli introdurranno un responsabile anti-corruzione nelle commissioni dei concorsi universitari. La singolare iniziativa, annunciata per mezzo stampa, rientra in un «codice di trasparenza» al quale il Miur e l’Anac lavorano da mesi e che sarà presentato il 3 e 4 novembre nel corso di una «conferenza sull’università».

IL CUSTODE DEI CONCORSI, ribattezzato «responsabile della trasparenza e della prevenzione della corruzione», dovrebbe essere un «dirigente, anche lo stesso direttore generale», presumibilmente dell’ateneo di riferimento, e dovrà «dare garanzie di indipendenza dalla sfera politica e istituzionale» sostiene Fedeli. Oltre allo svolgimento dei concorsi, a questa figura amministrativa dovrebbe essere affidato il compito di sorvegliare sulla regolarità «degli incarichi esterni e sulle consulenze» ha aggiunto Cantone. Non è chiaro ancora se ai super-commissari anti-corruzione toccherà indagare sulle attività professionali dei medici, degli avvocati o degli ingegneri che insegnano anche all’università. Ma , restando agli annunci di Cantone, le commissioni dei concorsi potranno essere infoltite da figure della «società civile» ed esperti del settore di riferimento.

UNO SCRITTORE potrebbe essere chiamato «a giudicare una prova di letteratura italiana», sostiene Cantone. Resterà da capire quale scrittore e definito in base a quale status: uno che pubblica con una grande casa editrice italiana? O una straniera? Sarà importante avere vinto un premio letterario, oppure sarà valido anche un libro auto-stampato? E chi valuterà l’autorevolezza di queste candidature? L’Anac, il Miur oppure l’agenzia della valutazione Anvur, la stessa che nomina i valutatori, il Grande Sorvegliante della Qualità del Merito dell’università? Gli stessi interrogativi sorgono anche nel caso dei «medici, ingegneri e avvocati». Per dire la propria nei concorsi, dovranno iscriversi a un albo da cui essere sorteggiati? Così potrebbero esprimersi su un candidato che rischiano di trovarsi di fronte in un tribunale, in una gara per un appalto o in una clinica. Sempre sentito il commissario anti-corruzione che sovrintende al regolare svolgimento del concorso, ovviamente.

QUESTE MISURE faranno parte del «piano anti-corruzione 2017» che prevederà anche un capitolo universitario. Entro la fine di ottobre Fedeli emanerà un «atto di indirizzo», non vincolante, che sarà inviato alle università. Toccherà a loro adottare le misure previste nel piano. Quest’ultima precisazione allontana dalle misure annunciate il sapore di commissariamento della classe docente italiana nell’esercizio di uno dei suoi principali poteri -quello battesimale, la trasformazione di un candidato a un concorso in un «pari». Il riconoscimento dell’autonomia degli atenei nell’applicazione delle nuove norme ridimensiona il giacobinismo «anti-casta» alla discrezionalità degli organi accademici e dell’autonomia dei settori disciplinari che definiscono le caratteristiche dei bandi e la tipologia delle cattedre messe a concorso. Se così non fosse, le iniziative di Cantone-Fedeli produrrebbero una situazione scoppiettante. Gli atenei potrebbero sollevare eccezioni oppure ricorrere ai Tar di tutto il paese. Forse non sarà così. All’indomani degli arresti di sette docenti di diritto tributario che avrebbero «truccato» un’abilitazione – non un concorso – ieri in un question time alla Camera la ministra per i rapporti con il parlamento Anna Finocchiaro ha sostenuto che il Miur sta valutando di costituirsi parte civile. Fedeli ha invitato i rettori degli atenei, a cui afferiscono i 59 docenti indagati, a seguire l’esempio. Domani incontrerà il ricercatore che ha fatto emergere la vicenda.

L’IRRILEVANZA delle soluzioni annunciate, e l’eventuale applicazione, allontanano il dibattito scatenato da un caso, tutto da verificare in sede di giudizio, dal problema politico: la «riforma» Gelmini del 2011. Allora l’«abilitazione scientifica nazionale» è stata presentata come la soluzione al «potere baronale» e lo strumento di lotta per la «trasparenza» contro la «corruzione» in nome della «meritocrazia». Quanto sta avvenendo è la più clamorosa smentita delle giustificazioni che hanno trasformato la didattica e la ricerca in una fabbrica della valutazione e rafforzato il potere autoreferenziale dell’accademia proprio in nome del «merito».

L’INGENUA RETORICA meritocratica, insieme a quella dell’«oggettività» della valutazione, continueranno ad essere celebrate come il migliore dei mondi possibili, magari introducendo le «chiamate dirette» da più parti preferite alla «cooptazione» tradizionale. Sono tornate anche le sirene del «mercato». Invitano a fare come nei paesi anglosassoni, nascondendo la situazione di sfruttamento dei docenti noti anche a chi legge il Guardian, per fare un esempio. L’università ha bisogno di un bagno epocale di democrazia e di un ritorno alla riflessione critica sul proprio ruolo e, soprattutto, sulle proprie responsabilità. Ma, purtroppo, la sua lunga notte continuerà.