La rivista Nature ha pubblicato online il 2 agosto (Nature23305) il lavoro di un team internazionale di ricercatori in cui si descrive la correzione di un errore genetico nel Dna di un embrione umano. È stata usata la recentissima e potente tecnica Crispr-Cas9.

Si tratta di una tecnica che drasticamente semplifica l’intervento operando un sostanziale “taglia e incolla” sui geni. Il punto focale – a quanto si comprende – è che correggere l’errore ha “guarito” l’embrione da una conseguente malattia.

Per i ricercatori, il metodo utilizzato «has potential to be used for the correction of heritable mutations in human embryos by complementing preimplantation genetic diagnosis». Si aprono concretamente orizzonti fin qui solo ipotetici, e possiamo aspettarci polemiche roventi. Soprattutto in un paese un po’ codino come il nostro, in cui chi stacca la spina su richiesta del malato rischia una condanna penale, e non manca chi metterebbe in galera anche il deceduto, se mai fosse possibile. E dove proprio sulla diagnosi preimpianto c’è stata una dura battaglia (cfr. Corte cost., 96/2015).

Certo, si rischia un futuro in cui il denaro fa la differenza tra chi deve affidarsi alla natura e chi può comprare la correzione di errori genetici o la selezione di geni ritenuti migliori. E nemmeno sfugge che disponendo di simili tecniche Hitler avrebbe invaso il mondo con perfetti bambini ariani. Ma queste consapevolezze non bastano a darci risposte conclusive.

Consideriamo il caso di Charlie Gard, morto per una rarissima malattia genetica trasmessagli dai genitori, ignari portatori sani. Cosa avemmo risposto, se l’intervento correttivo sull’embrione fosse stato tecnicamente possibile, e i genitori lo avessero chiesto piuttosto che tentare un viaggio senza speranza?

Avremmo detto no, sapendo di condannare Charlie a una morte che poteva essere evitata?

Oggi può sembrare fantamedicina, o fantascienza. Ma fra un anno, cinque, dieci? Di certo, avremo tecniche sempre migliori, idonee a garantire gli esiti voluti. Sarà difficile tracciare il confine tra il permesso e il vietato, il lecito e l’illecito. Ne viene la necessità di norme cogenti – non bastando l’auto-regolamentazione o la deontologia – nazionali e sovranazionali. Diversamente, possiamo essere certi che ci sarà sempre da qualche parte un ricercatore, un medico, un laboratorio, una clinica disponibili a praticare qualunque intervento, per amore della scienza o per denaro. È chiaro che per gli spregiudicati si può aprire un campo di pingui profitti.

Per quanto ci riguarda, ancora una volta la Costituzione si mostra pronta alle sfide della modernità. Nell’art. 32 è insito il diritto alla migliore cura data dal sapere scientifico del momento. Questo può estendersi fino a comprendere la correzione genetica. E si ricorderà anche che la giurisprudenza ordinaria ha da tempo posto attenzione al diritto a nascere sani, sia pure sotto il profilo della risarcibilità del danno per mancata diagnosi o informazione in gravidanza (cfr., tra altre, Cass., III Civ., 16123/2006 e 10741/2009). Mentre il concetto di dignità della persona umana posto dallo stesso art. 32 può porre argine alla costruzione artificiale della persona in provetta. Il problema piuttosto è dato dall’attuazione della norma costituzionale attraverso la legge.

Torniamo sempre al punto che le leggi le fa il parlamento. Di fronte a problemi epocali e fin qui ignoti è inadeguato e miserabile un dibattito sulla legge elettorale incardinato su coalizioni, premi di maggioranza, soglie e sbarramenti. Pensiamo davvero che un parlamento simil-porcellum o simil-consultellum sia in grado di affrontare le sfide che il mondo nuovo ci pone? Basta guardare alla pochezza del confronto parlamentare sul biotestamento e sul fine vita per capire quanto siamo lontani dalla sufficienza. Né può bastare la instant democracy di un voto online.

Un buon parlamento è essenziale. Fino a pochissimi anni fa non avevamo la mappatura del genoma, o le tecniche per intervenire sul Dna. Oggi, le abbiamo. Le domande che ne vengono sono difficili, e ineludibili. Ma nemmeno per un attimo ci si pone il problema di come portare nell’assemblea legislativa i saperi e la qualità di ceto politico indispensabili a scrivere le regole di cui abbiamo bisogno.