La donna geniale e irriverente che il 26 febbraio avrebbe festeggiato novantuno anni, aveva i sensi acuminati: orecchio assoluto, occhio immediato per bellezza e falsità, gusto per piatti esotici e per i suoi abiti da sera, olfatto con il quale fin da piccola fiutava persino malattie di parenti e amici, tatto con il quale fino alle ultime settimane di vita scovava seta e cachemire nei mucchi di abiti usati sui banchi di Porta Portese, lo storico mercato di Roma, suo luna park d’elezione. Dell’ex marito volle tenere solo il cognome. Dichiarò che le piaceva quel suono tondo, magno greco, accanto al suo diminutivo.
AMANTE DELLA PAROLA
Meri Lao, nata America Franco, era una donna polifonica. Un’artista indipendente, eccentrica, eversiva, una concertista, una pioniera della musica sudamericana, la cui divulgazione le valse il Premio Tenco, del tango come forma d’arte classica, un’insegnante, studiosa di Sirene, amante della parola che ha declinato in 35 libri, in lingue diverse.
Ha condiviso progetti, passioni e visioni di un futuro possibile con Pablo Neruda, Violetta Parra, Julian Beck, Luigi Nono, Umberto Eco, Pina Bausch, Rafael Alberti, Astor Piazzolla, Chico Buarque, Daniel Viglietti e Ataualpa Yupanqui, Reynaldo Gonzales, Marta Argherich. In una fotografia del ’67 appare con cappellino e lunga collana di perle seduta accanto a Fidel Castro, in un’altra di dieci anni dopo, ride accanto a Fellini sul set de La città delle donne. Leggendarie restano le notti passate con Mercedes Sousa e l’intero corpo di ballo, a danzare il malambo sul tetto della sua casa romana. Insieme al suo rigore scientifico, troviamo nelle sue opere e nella sua vita divertimento e ironia, come nel breve racconto autobiografico Il mio partner, premio per la narrativa Antonelli Castilenti 1995, dove descrive la sua burrascosa convivenza trentennale con un africano di nome Jacou, «pigro, che non esce nemmeno a comprare il giornale», che si scoprirà solo alla fine essere un bizzoso pappagallo cinerino, bravissimo a imitare i suoi solfeggi.
Meri nasce a Milano da genitori anarchici, Camillo Franco e Teresa Passerini detta Gina, che avevano scelto per lei il nome di «Giustizia e Libertà», poi mutato in «America», terra che per loro rappresentava gli stessi valori e che raggiunsero poi insieme. Fecero fortuna in Uruguay e Meri poté frequentare le migliori scuole di Montevideo, dove a 16 anni tenne i primi concerti di pianoforte. Lì conobbe Pablo Neruda e altri poeti latinoamericani, poi l’italiano Folco Lao, che sposerà nel 1949. Non sentendosi a suo agio nel ruolo esclusivo di moglie, nel 1953 va a Parigi da sola, dove inizia il fortunato decennio della sua carriera pianistica. Raggiunta dal marito si trasferisce in Italia dove nascerà il figlio Curzio, ma l’editore François Maspero la invita a occuparsi di musica latinoamericana e Meri parte sola, armata di magnetofono, per un anno di ricerca che sfocerà nell’audio-libro Basta! Canzoni di testimonianza e ribellione dell’America Latina. L’opera finirà tra le mani di Fidel Castro che la vuole a Cuba per il festival della canzone di protesta. Meri tornerà così entusiasta da convincere marito e figlio a seguirla all’Avana, dove lavorerà per la scuola di cinema, per radio e televisione. Nel 1970 lo scontro con il socialismo reale la induce a tornare in Italia, si dedica all’insegnamento, traduce in spagnolo Lettera a una professoressa di Don Milani.
IN SCENA
A partire dalla metà degli anni Settanta pubblica i suoi sette libri sul tango, incide il disco I miei tanghi, mette in scena una serie di spettacoli da «cantattrice», configurandosi mondialmente come eminente studiosa. Nel 1979 ecco il libro Donna canzonata, indagine sconsolata ed esilarante sulla donna nella canzone italiana. Perché, scrive Meri Lao, come se stesse oggi recensendo San Remo: «La canzone leggera viene abitualmente sorbita come un gelato da passeggio. Ma in realtà si tratta di un prodotto espressivo finito: tre minuti concisi di musica e parole con cui una società comunica si identifica e commercia, trasmettendo contenuti affettivi, credenze, modelli comportamentali, dati di costume, valori».
Dopo la pubblicazione del libro Musica Strega, la cerca Fellini. Divennero amici e Meri scriverà per lui l’ironico inno femminista del film La città delle donne: Una donna senza uomo, surreale tango congo, che si fa beffe delle aspettative del titolo. A Fellini dedicherà il suo primo libro sulle Sirene, al quale seguiranno altri tre volumi sull’argomento. Con un singolare Siren Watching, mette insieme un patrimonio d’immagini, che illustrano anche le sue conferenze, alla fine delle quali serpeggiava tra il pubblico il dubbio che le sue sette fratture agli arti inferiori, non fossero che un tentativo messo in atto dal suo corpo per ritornare alla forma originaria, alla sua coda di Sirena. La sua immane ricerca e l’acutezza delle sue riflessioni, fanno di Meri Lao (anche assidua collaboratrice del nostro Alias, ndr) la più autorevole studiosa di Sirene, internazionalmente riconosciuta, non solo per i premi ricevuti, ad esempio il premio Capri dell’Enigma, ma anche per i numerosi cloni delle sue opere, nei quali, poco elegantemente, si omette di citarla. Ora, il suo lavoro diventerà punto di partenza per un’ importante installazione sulle Sirene alla quale sta lavorando il figlio con l’Associazione Sirena Latina.
CATALOGAZIONI
La passione per la catalogazione la porta infine a scrivere il Dizionario maniacale del 7. «Un’ estrosa enciclopedia marchiata a fuoco dall’ossessione e dall’euforia di una cifra», scrive Antonio Melis. Ne rimane affascinato anche Umberto Eco, che le dedica un’intera Bustina di minerva. Il libro è per la nipote: «A una bimba di nome Aria che gode a contare i sette punti neri della coccinella, a seguire le fasi di sette giorni della luna, che mi ha dischiuso il settimo cielo della nonnità».
Bambina che aveva 16 anni al capezzale della nonna in ospedale, dove centinaia di persone arrivarono per salutarla, commentando nei corridoi che sembrava Woodstock, o una di quelle perfomance del Living Theater alle quali lei li aveva portati al liceo. Rifiutò ogni accanimento terapeutico, per congedarsi fieramente dalla vita con il titolo di quel suo famoso libro: Basta! Dal giorno in cui morì, il 29 agosto 2017, sul suo sito Sirenalatina.com, si legge: «Maestra di yoga e di vita, battagliera e controcorrente fino all’ultimo, accompagnata dall’affetto di Curzio, Aria, Rya, Bing e di tantissimi amici, colleghi e allievi, Meri Lao, nata America Franco, ha completato le sue sette vite. Per sua volontà, niente funerali. Le faremo un omaggio a Roma».
E l’omaggio ci fu, al Teatro del Vascello. Arrivarono i suoi studenti e colleghi, tangueiros con strumenti e scarpe d’ordinanza, gli amici, per ricordarla, brindare, suonare e danzare. Io, che ho avuto il lusso di esserle amica, presentai un montaggio d’ immagini dal titolo Andar per Sirene con Meri Lao, fotografie che la ritraevano sul litorale romano, il 2 di febbraio, giorno della Sirena Yemanjà, con fasci di fiori bianchi, che poi avrebbe lanciato in mare. Rito al quale non rinunciava mai, nemmeno con la tempesta. Ma un anno il Tevere stava per esondare e la protezione civile sconsigliava ogni uscita. E veramente il fiume straripò fino ad arrivare sotto alla sua finestra: la Sirena non rinunciava al regalo di quella sua figlia-sorella e se lo andava a prendere, a quei fiori bianchi che Meri Lao immortalò in un’ultima foto, prima di lanciarli tra le acque.